Eloda Rossi blog

PIAZZAFORTE DI GAETA

Dal punto di vista urbanistico/architettonico, l’antica Piazzaforte di Gaeta corrisponde al tronco urbano più interno che si prolunga suggestivamente sul mare. La Prima Porta è il varco di accesso principale. Più avanti si trova la Seconda Porta, altrimenti detta Porta di Carlo V o Porta della Cittadella, che per molto tempo ha costituito l’unico accesso alla città fortificata. È qui che esplodono le emergenze più importanti dello stratificato tessuto.

Credo che sia sbagliato parlare – come spesso mi capita di leggere – della Piazzaforte di Gaeta quale ambito territoriale semplicemente prossimo ad alcune emergenze che, nelle epoche belliche, hanno avuto ruoli difensivi primari (come il Castello e l’ex struttura carceraria): ruoli mai scissi da quelli esercitati dagli altri beni di attacco o di difesa. È mia convinzione invece che sia corretto considerare la Piazzaforte inclusiva di questi magnifici elementi storico-architettonici.

Perché la Piazzaforte non è soltanto fatta delle polveriere poste sul Monte Orando e dei resti di cadaveri e dei rinvenimenti minori che nel tempo sono emersi: L’intera Cittadella di Gaeta, col Castello e l’ex struttura carceraria e altro ancora, fanno parte di diritto dell’insieme della città fortificata. E perché – se sui Borboni voglio soffermarmi – ognuno di questi beni ha avuto ruoli determinanti fino alla tragica caduta del Regno di Napoli (o Regnum Siciliae citra Pharum).

Gaeta ha una storia densa e complessa che parte dall’VIII Secolo a.C. e il risultato che oggi si osserva (in termini di aspetto urbano) è decisamente eterogeneo. Dunque, inseriti in un contesto vario e ricco di testimonianze monumentali di differenti epoche, al di là dell’imponenza del Kastrum, i beni che narrano l’affascinante storia dei Borboni spesso appaiono nascosti, non facili da individuare.

Vado per ordine.

Già l’Impero d’Oriente aveva strutturato una prima fortificazione (600 d.C), ma il Medioevo aveva consegnato alla città una vera e propria fortezza: il Kastrum Gaetani, probabilmente risalente al 900. Questo diveniva poi un Castello compiuto nelle forme, per opera dell’Imperatore Federico II di Svevia che, nella prima metà del XIII Secolo, aveva intuito l’enorme valore strategico della città. Gaeta si trasformava così nella porta d’ingresso al Regno delle due Sicilie e Alfonso d’Aragona, nella metà del ‘400, dotava la città di un nuovo Castello. È stato poi Carl V, nel Secolo successivo, a collegare e inglobare i due Castelli in fortificazioni bastionate che divenivano quindi la vera prima Piazzaforte del Regno di Napoli e una delle più dotate d’Europa. Questo genere di impianto, non di certo consueto, peraltro trovava una maggiore consapevolezza artistico-formale proprio nel periodo borbonico, quando Federico II di Borbone faceva impiantare la Cappella Reale all’interno della cupola della Torre più alta del Castello (oggi detta Torre di Gaeta). Era il 1849.

Con i suoi 14.000 mq e oltre, imperante all’interno del Centro Storico e dell’antica città fortificata, il Castello è dunque oggi la fusione di due strutture difensive: angioina e aragonese, con perfezionamenti borbonici.

Ed era ancora la metà dell’800 quando veniva innalzato il ben noto Ex Carcere: inserito in un impianto viario ed edilizio d’impronta medievale, nato come Padiglione di Città, voluto da Ferdinando II di Borbone, è stato edificato negli anni appena precedenti all’assedio al fine di incrementare Gaeta della dotazione di strutture militari. Assolutamente in linea con lo scopo primario degli interventi borbonici avvenuti tra il 1850 e il 1853, tramite sventramenti interni al tessuto urbano pregresso, c’era quello di edificare un’imponente rampa per l’accesso dei cannoni nella città fortificata.

Esternamente il Padiglione di Città è oggi, come allora, un edificio di grandi dimensioni in muratura tufacea, a pianta rettangolare con fronte circolare. Conta due piani, possiede un ingresso a cui è anteposta una scalinata; a nord l’edificio si apre al termine di un forte pendio.

Non molto tempo dopo il nefasto evento dell’assedio di Gaeta, nella seconda metà dell’800, la struttura veniva trasformata in carcere. Tra il ’70 e l’80 dello scorso Secolo l’edificio è stato assoggettato a un imponente intervento di recupero prevalentemente strutturale, nel corso del quale alcuni elementi caratterizzanti la sua fattezza stilistica (come le pavimentazioni) sono stati mortificati e impropriamente sostituiti. Ne è stata nuovamente mutata la funzione in uffici comunali, per poi tradursi – attuale utilizzo – in alloggi per famiglie indigenti, nonostante sia soggetto alla legge di tutela 1089/39. Gli esterni sono a disposizione di chiunque voglia ammirarli. Per gli interni, niente da fare: bisogna spulciare le antiche mappe. Eppure, la conoscenza di questo monumento è fondamentale per la comprensione dell’intero nucleo difensivo di Gaeta.

Le emergenze borboniche raccontano, si sa, una storia forte e dolorosa che riguarda l’intero territorio italiano e la sua trasformazione fisico-amministrativa. L’assedio di Gaeta del 1861 (ultimo dei quattordici assedi della città, a partire dalla sconfitta del Ducato), promosso dai Piemontesi, oltre a mietere troppe vittime, trasformava un territorio abbattendo – a colpi di cannone a retrocarica (sperimentati per l’occasione) – monumenti e beni d’ogni natura. Era la fine del Regno dei Borboni e l’avvio del percorso di unificazione dell’Italia. Ciò che ha resistito tuttavia non è poco e l’attuale immagine dell’area che ha ospitato il sistema difensivo borbonico è ancora altamente suggestiva.

La storia qui si mescola con quella del Ponte Real Ferdinando. Da quest’ultimo – come ho raccontato (https://www.elodiarossi.it/ponte-real-ferdinando/) – salivano le già provate truppe del Regno, in fuga da Napoli, per giungere a Gaeta e impiantare la difesa nella città fortificata, fino alla vetta di Monte Orlando, luogo privilegiato di avvistamento.

Dunque, un ambito monumentale caratterizzato da espressioni di molti Secoli, tradotto in un processo di integrazione fisica lungo e sofferto che vede nel passaggio borbonico il momento che consacra – seppur dolorosamente – la sua compiutezza formale e risponde compatto a un’esigenza di difesa: è la Piazzaforte. Il passaggio borbonico è quindi un collante che trasforma, richiamando una specifica funzione, l’eterogeneità in insieme.

Le recenti trasformazioni nell’utilizzo dei numerosi beni monumentali della Piazzaforte hanno forse offuscato il ricordo, tradotto in percezione, del tragico ultimo assedio e la sensazione del passaggio borbonico non è immediata.

Spero di aver consegnato – seppur sinteticamente – un credito al tema funzionale, tramite questa mia breve lettura delle testimonianze fisiche che hanno attivamente partecipato all’ultima eroica azione di difesa dei Borboni.

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