Elodia Rossi

Ponte Morandi, le verità nascoste

Alla ricerca della verità.

Innanzi tutto chiarisco che questo mio articolo non vuole essere un contributo in termini di affermazioni, di convincimenti; piuttosto di interrogativi, di enunciazione dei tanti nodi da sciogliere all’interno di un clima profondamente confuso.

Inizio.

14 agosto 2018: una pioggia consistente si abbatte su Genova. D’improvviso – come in un film dell’orrore – un imponente fulmine colpisce il Ponte Morandi. Due delle campate crollano. Cede il pilone intermedio (la torre ovest). Una tragedia.

L’infermiera che ha assistito al disastro sostiene che le coppie di stralli convergenti nel pilone centrale si sono spaccati contemporaneamente, per poi lasciar crollare le relative campate e pochi istanti dopo anche il pilone.

Un passo indietro negli anni.

Il Ponte fu progettato dall’ingegnere Morandi negli anni sessanta e realizzato dalla Società Italiana per Condotte d’Acqua. Lungo oltre un chilometro e largo 18 metri, al tempo veniva considerato – probabilmente non a torto – una grande opera di ingegneria. Tra cemento armato, cemento precompresso e catenarie, era dimensionato per sopportare carichi accidentali e di traffico veicolare sostenuti, tuttavia relazionati alle esigenze dell’epoca e alle aspettative di medio/lungo periodo. Ma non di certo erano prevedibili le straordinarie mutazioni sociali ed economiche che hanno di lì a poco imposto fondamentali trasformazioni perfino nell’incremento dei traffici. Anche i materiali – e non nutro dubbi che fossero al tempo eccellenti – non sono quelli di oggi. Il progresso tecnologico (e, ancor più recentemente, l’avvento delle nanotecnologie) ne ha mutato sostanzialmente le qualità e incrementato le resistenze. Basti pensare agli acciai e alle filettature che oggi sono prescritte dalla norma, ma anche alla qualità dei calcestruzzi dovuta al miglioramento sostanziale dei materiali di composizione.

Eppure al Ponte a trave strallata, con sostegno a cavalletti bilanciati raddoppiati, deve riconoscersi una qualità ingegneristico-compositiva: pensato in un momento storico finanche privo delle facilitazioni di calcolazione strutturale (e delle relative verifiche statico-dinamiche) che oggi, per via delle strumentazioni sempre più evolute, in qualche maniera contraggono le necessità di impieghi di professionalità in grado di spingersi ben oltre il momento dell’ideazione formale.

Ma nulla è eterno se non adeguatamente curato e sollecitato entro i limiti delle potenzialità, soprattutto per i casi di strutture di tale natura e di tale periodo. E così, al calare degli anni ’70, lo stesso progettista invocava la necessità di interventi manutentivi. Appena venti anni più tardi, intorno alla metà dell’ottanta e in pieno boom economico, l’incremento esponenziale del traffico veicolare e degli scambi merci (con il derivato massiccio utilizzo dei mezzi sempre più pesanti), muoveva la Società Autostrade a proporre con insistenza la realizzazione di una bretella autostradale alternativa, destinata proprio al traffico commerciale, per lo snellimento dei carchi sul troppo sollecitato Ponte Morandi: la Gronda di Ponente. Il ripetutamente dichiarato intenso degrado della struttura sottoposta a ingenti sollecitazioni (da uno Studio di Società Autostrade del 2009, riferito all’incremento del traffico veicolare), è stato forse considerato un grido in mare aperto.

E la Gronda di Ponente non è mai stata edificata, nonostante le insistenze e i reiterati tentativi della Società Autostrade. La progettazione è partita nel 1984 e ha seguito vicissitudini varie, confronti accesi, Conferenze di Servizi, con difficoltà incredibili nelle approvazioni e nel convincimento delle autorità fino ai recentissimi anni. Ma la forte opposizione del Comitato No Gronda non solo ha reso pesante l’iter amministrativo, ma ne ha troncato ogni possibilità di realizzazione. Un percorso progettuale, di dibattiti e scontri, infaustamente terminato nel 2015. La voce di Grillo si è alzata decisa contro la realizzazione della bretella, invocando più volte perfino l’intervento dell’esercito nel fermare i sostenitori (ad esempio, l’11 ottobre 2014 a Roma, Circo Massimo). Posizione ribadita dai grillini e perfino presente sul sito del Movimento, attraverso un articolo che definiva una favoletta la possibilità dell’imminente crollo; articolo rimosso subito dopo il recente disastro. Per chi vuole approfondire: http://www.tgcom24.mediaset.it/2018/video/crollo-ponte-genova-il-no-dei-grillini-alla-gronda-_3081353.shtml.

La Società Autostrade, fallita l’idea di edificazione della bretella, si spingeva dunque verso un nuovo intervento di ristrutturazione del Ponte, quale proseguimento di un’azione intrapresa negli anni ’90 di rinforzo degli stralli, attraverso la disposizione di nuovi cavi esterni che vanno dal traversone dell’impalcato fino alla sommità delle antenne (dalla relazione di Autostrade). 20 milioni di euro stanziati, una gara a procedura ristretta avviata e le relative offerte presentate lo scorso mese di giugno per poi procedere all’appalto nell’autunno a venire. Non si è fatto in tempo.

Non c’è dubbio che il Ponte Morandi fosse ormai pericolosamente deteriorato, non c’è dubbio che fosse assoggettato a sollecitazioni eccessive e crescenti, non c’è dubbio che il ricorso alla chiusura dell’infrastruttura veicolare fosse un’azione da privilegiare. Già, facile dirlo. Ma Ponte Morandi rappresentava di fatto un’arteria strategica che collegava l’intera penisola con il sud della Francia e della Spagna. E non solo. Era il collegamento privilegiato tra due aree di Genova: il centro e la zona levante con Voltri, dove insistono porto e aeroporto. Cosa avrebbe scatenato la chiusura del viadotto in termini di fastidio, di incomprensione, di opposizione?

Dopo le certezze e i non c’è dubbio, voglio invece analizzare le incertezze. Quelle incertezze alle quali un nutrito popolo di dottorali e sussiegosi ritiene di poter dare risposte immediate che si traducono in accuse, recriminazioni, violente minacce. Ma non è così facile riscontrare quesiti che solo l’analisi strumentale accurata e onesta potrebbe sciogliere.

Il primo grande dubbio, il dubbio sovrano in questa triste vicenda, sta nelle modalità con cui la struttura del ponte ha collassato. Un tipo di collasso che non convince: troppo repentino, tanto da tradursi – in pochi istanti – quasi in uno sbriciolamento, in una parziale polverizzazione. Circostanza che si presenta in casi eccezionali, perfino assimilabili alle conseguenze di un’esplosione in prossimità delle fondamenta. Un collasso per ammaloramento strutturale, così come per le fessurazioni sparse e intervenute nel tempo, sarebbe stato più convincente se si fosse tradotto – ad esempio e in forma semplificata – nel piegamento di una campata con distacco in corrispondenza di un giunto di dilatazione in tempi più ragionevoli, oppure in un’apertura verticale/obliqua nel corpo del pilone, oppure nel cedimento di uno (e non quattro contemporaneamente, come dichiarato dal testimone visivo) o due degli stralli con conseguenti deformazioni della struttura in tempi sì ristretti, ma meno contratti. E allora? Allora lo ripeto: a me non convince questo tipo di collasso, questa frantumazione immediata con polverizzazione massiccia, che sembrerebbe non potersi associare a nessuna canonica tipologia di quadro fessurativo, per quanto articolato e preoccupante.

Viene alla mente il caso delle Twin Towers. Ma sappiamo che qui c’è stata una sollecitazione istantanea indotta e ben diversa. Eppure, ancora oggi è un tema aperto al dibattito della scienza globale, visto che alcuni strutturisti di fama internazionale nutrono forti dubbi sull’implosione e sulla polverizzazione delle due strutture, tanto da ipotizzare anche la presenza di ordigni alle basi degli impianti.

E viene alla mente la casa dello studente de L’Aquila. Ma sappiamo che qui c’è stata una causa istantanea naturale e differente. Ma purtroppo, anche in questo caso, la ricerca spasmodica del capro espiatorio aveva generato un tale disordine di informazione da inorridire.

Sul tema delle cause istantanee mi soffermo volentieri a riflettere.

La scarica di un fulmine, che in termini di potenza equivale a quella di un’intera centrale elettrica, costituisce uno scambio di energia che intercorre tra due corpi. Uno di essi è sempre l’atmosfera, l’altro è generalmente il suolo. Quando il secondo corpo non è il terreno, si può assistere a inaspettati disastri. Esistono poi fenomeni incredibili, rilevati da recenti studi a cui ha preso parte lo scienziato Joseph Dwyer, secondo cui alcune folgori, nello scagliare elettroni sulle molecole d’aria ad altissima velocità (da cui discende il fenomeno del tuono), provocano perfino piccole esplosioni atomiche.

Non ho dubbi nell’affermare che dalle immagini video trasmesse in TV il giorno del crollo si è visto chiaramente il passaggio del grosso fulmine, mentre colpiva il ponte proprio in prossimità del pilone centrale. Dall’atmosfera al ponte (il secondo corpo, in sostituzione del suolo) dunque, con un passaggio di energia che mediamente è misurabile in 300 milioni di volt per ogni 100 metri di lunghezza della saetta, oltre che in 18.000 gradi centigradi di intensità di calore.

Questo genere di forza naturale quali dilatazioni può provocare nei ferri di una struttura, peraltro già problematica, al momento dell’impatto, ossia del trasferimento energetico? E una dilatazione repentina per fusione, che potrebbe aver investito per conduzione l’insieme strutturale ferroso a 18.000° (sapendo che il ferro, per sua natura, possiede il punto di fusione a 1.538°), possibile che non susciti la benché minima perplessità?

Dunque, anche il professor Brencich e il sottosegretario Rixi vorranno concedere beneficio all’altrui dubbio quando affermano che il fulmine che ha colpito il ponte (guarda caso nell’esatto momento in cui è avvenuto l’istantaneo crollo) non ha provocato alcunché? E parlo di dubbio, non di quella certezza che emerge dalle sorprendentemente determinate affermazioni, divulgate senza aver prima atteso alcuna indagine, né l’esecuzione di una meticolosa ricognizione dei fatti, anche storici, come invece il prudente Presidente di questa Repubblica ha correttamente esortato a fare.

Altro punto che a me pare inquietante: nessuno finora ha posto il quesito di una possibile problematica incorsa nel sottosuolo di ancoraggio del pilone crollato. Genova e l’intera Liguria posseggono un grado di fragilità geologica ben più elevato di altri territori peninsulari. E ricordo che l’Italia intera è un ambiente fortemente soggetto a rischio idrogeologico. Il giorno del crollo, la città subiva un acquazzone che perdurava da alcuni giorni. Una città che già nei recenti anni è stata messa in ginocchio da violenti nubifragi. Quali condizioni vivesse il sottosuolo in corrispondenza del ponte, è noto? C’è stata una ricognizione recente? Se sì, c’è stato un confronto con le rilevazioni degli anni precedenti? Può essersi determinata un’improvvisa decompressione che ha alterato il già precario sistema di sostegno dell’infrastruttura?

D’altro canto, non è inconsueto che in ambienti fragili il sottosuolo possa subire decompressioni o altri tipi di alterazioni improvvise per via di fattori inaspettati o indotti, naturali o anche antropici. Possibile che questa ipotesi non sia stata presa in considerazione? È dunque lecito introdurre anche tale verosimile causa istantanea nella grande camera oscura del dubbio?

E allora, perché tutto questo chiasso, perché tutta questa sgradevole strumentalizzazione in campo politico, perché questi cancerogeni nei nell’informazione? Perché invece non dare spazio al silenzio, in un momento tragico per chi ha subito lutti, intraprendendo l’unica strada corretta: quella dell’onesta prudenza?

Le componenti che andranno analizzate, per la ricerca della verità,  sono varie e molteplici: il progetto originario nel dettaglio, la rispondenza di questo a quanto è risultato dalla realizzazione, l’evoluzione del sottosuolo nel corso di oltre cinquant’anni, le eventuali sollecitazioni indotte a cui il terreno è stato sottoposto (sia naturali che antropiche, come ad esempio nuove edificazioni o assi viari), il quadro fessurativo intervenuto nel tempo e le dovute comparazioni evolutive, il calcolo delle sollecitazioni effettive rispetto a quelle considerate in progetto, l’incidenza esatta delle opere di manutenzione in relazione agli effettivi bisogni, oltre la già espressa ipotesi del fulmine con verifica del grado di efficacia dei sistemi di messa a terra presenti nella struttura e molto altro ancora.

All’interno del molto altro ancora emerge un elemento che mi si ripropone alla mente nell’ascoltare e nel leggere le tante parole e le altrettante azzardate teorie. Nel corso delle numerose Conferenze di Servizi e dei tanti dibattiti eseguiti fin dal 1984 riguardo l’opportunità di realizzazione della Gronda di Ponente, quale ruolo hanno avuto il Ministero delle Infrastrutture e gli altri organi pubblici certamente coinvolti? È mai stata paventata la necessità di chiudere al traffico il Ponte Morandi per via delle dichiarate problematiche che esso presentava? Come potrebbe non essere stato affrontato questo tema?

Senza contare che bisognerebbe risalire almeno agli anni ’90 per cercare di capire quali inquietanti relazioni intercorressero tra alcuni esponenti dello Stato, la Società Autostrade e il Gruppo Atlantia.

Fatto sta che lo scenario sociale e politico di oggi è raccapricciante. Perfino la gente evacuata dalle case poste sotto o in prossimità del ponte, intervistata lo stesso giorno del crollo, ha messo l’accento quasi esclusivamente sul tema del risarcimento personale, materiale e morale. Poche, quasi nulle, sono state le riflessioni sul più scottante dramma delle vittime.

I politici insistono con pretesti, per scontrarsi e scaricare colpe gli uni sugli altri, recriminando all’impazzata nella spasmodica ricerca del capro espiatorio di turno. Film già visto, doloroso e inquietante, come nel caso del terremoto del 2009. Ne parlerò in altro articolo.

E così ieri 18 agosto, giorno dei funerali di Stato, Autostrade chiede scusa pubblicamente (forse implicitamente ammettendo una quota di responsabilità, pur esortando l’attesa dei riscontri scientifici) e mette a disposizione mezzo miliardo di euro per le emergenze: risarcimenti agli sfollati pari al valore degli immobili con addizione di indennizzo, sostegno alle famiglie in lutto, organizzazione di viabilità alternativa e avvio della ricostruzione del ponte. Il Governo invece non ritiene di dover chiedere scusa e Di Maio risponde così: Lo Stato non accetta elemosine da Autostrade. E già, visto che il Governo ha per adesso stanziato solo 5 milioni di euro, con successivo incremento di quasi 28,5 milioni, che dire? Confidiamo in una maggiore generosità. Che dire di un ministro che si rivolge a un ragazzino nel corso dei funerali con queste parole: Te lo giuro, gli faccio il culo. Sia coerente ed elargisca di propria tasca quella che considera elemosina.

E intanto si risolleva perfino la voce di Grillo per limitarsi a dire che i pedaggi autostradali devono essere gratuiti. Come no? Se è vero, perché è vero, che in Italia i pedaggi sono troppo cari, è altrettanto vero che l’eventuale gratuità – nell’ipotesi di una gestione diretta dello Stato – si tradurrebbe in una maggiorazione delle tasse a copertura delle spese di amministrazione e manutenzione. E gli sprechi pubblici sono ben noti a tutti, come la scarsa capacità manutentiva. Basterebbe fare un giretto per la penisola e vedere in che condizioni versano molti dei ponti in gestione pubblica.

Mi chiedo (precisando che non sto difendendo alcuno) e chiedo: mentre sembrerebbe che una parte del Governo stia facendo qualche passo indietro in termini di rischiose accuse, come può il vice Presidente del Consiglio Di Maio, date le precedenti posizioni del movimento che rappresenta, scagliarsi con sicurezza e acredine verso terzi per non aver fatto ciò che egli stesso riteneva non doversi fare? Come può oggi utilizzare una tale impetuosità nell’affermare che il Ponte avrebbe dovuto chiudersi, dopo lunghi anni di diversa opinione? Lo si potrebbe perdonare soltanto se lo si considerasse, com’io penso, vittima della sua mente, invasa dal soffocante contrasto tra una gloria repentina e un’incosciente esuberanza giovanile.

Un pensiero affettuoso va invece a coloro che stanno agendo con esemplare correttezza: sono gli uomini dei corpi della protezione civile e dei vigili del fuoco, i volontari e gli instancabili cani del soccorso. Sono lì nell’ombra, scavano tra le macerie avvolti da un qualificante e rispettoso silenzio. A questi si deve onore e profonda riconoscenza.

Mitigazione dissesto idrogeologico

Dal 2012 al 2014 ho lavorato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con la responsabilità del coordinamento dell’Ufficio Tecnico di un Commissario delegato di Governo. L’ambito operativo è stato quello della Mitigazione del Dissesto Idrogeologico nella Regione Abruzzo. Nonostante fossi già da molto tempo impegnata nella tutela del territorio, ho avuto modo di acquisire maggiore esperienza nei campi delle bonifiche ambientali, della difesa del suolo, della difesa dal rischio idraulico, della difesa della costa e della gestione delle acque reflue, avendo tra l’altro supervisionato procedure e cantieri ascritti all’attività commissariale.

Inoltre, sono stata destinataria dell’affidamento di due attività progettuali specifiche.

L’una ha riguardato servizi di progettazione preliminare e definitiva, ai sensi dell’art. 125 del D.leg. n. 163 del 2006 e s.m.i., per gli interventi di Messa in sicurezza e consolidamento abitato Via per Vittorito, nel Comune di Raiano (AQ).

A seguito di alcuni sopralluoghi, ho avuto modo di verificare che il tratto stradale e l’abitato sovrastante soffrivano di un pericolo dovuto più a un’inadeguata regimentazione delle acque (soprattutto meteoriche) che non a questioni proprie di fragilità geologica. Quest’ultima infatti, anche dall’esame del Piano di Assetto dell’Autorità di Bacino e dai rilievi regionali, riguardava maggiormente un ambito più a valle dell’area d’intervento.

Valga un esempio: il grosso muro in c.a. di sostegno all’abitato in questione – strutturato per la gestione delle differenti quote – non presentava alcun elemento per la fuoruscita delle acque di deposito provenienti dal sovrastante terrapieno. E ancora: l’intero percorso stradale a valle del terrapieno (e del muro) non risultava dotato di alcun impianto per lo smaltimento delle acque, le quali si riversavano abbondantemente all’interno del pendio sottostante l’asse viario (area prossima all’ambito territoriale di maggiore fragilità), acuendo i problemi dell’impianto geologico relativo. Pertanto ho scelto di concentrare l’intervento di mitigazione del dissesto principalmente sui temi della regimentazione acquifera, tramite la progettazione di un sistema di impianti di raccolta, nel rispetto della disponibilità economica prefissata (€ 1.000.000,00).

Ho elaborato, ai fini di una sintetica illustrazione del progetto (la cui dimensione è ampia e dettagliata), una tavola riassuntiva delle azioni di mitigazione previste. Per visionarla, basta cliccarvi sopra.

Scelte per Raiano

 

L’altra ha riguardato servizi di progettazione preliminare e definitiva, ai sensi dell’art. 125 del D.leg. n. 163 del 2006 e  s.m.i., per gli interventi di Sistemazione dei versanti del Centro Storico di Roccacasale, nel Comune di Roccacasale (AQ).

Roccacasale è un Comune che gode di una straordinaria posizione: arroccato su un pendio scosceso, con la caratteristica di avere una straordinaria e duratura illuminazione solare. Questa stessa qualità avrebbe però richiesto particolare cura nella gestione dei deflussi acquiferi. Invece, all’atto dei sopralluoghi e della redazione del progetto di mitigazione del dissesto, il centro abitato ancora era servito da un unico e molto antico canale di scolo, nato per lo smaltimento delle acque meteoriche e dotato di ramificazioni per il convogliamento. Posto pressoché centralmente all’insediamento, questo canale risultava altamente deteriorato in ampie sezioni e non regimentato a valle. Sorprendentemente, raccoglieva perfino acque dagli scarichi domestici di alcune delle abitazioni più prossime.

Il progetto ha riguardato, dunque, la rettifica del canale tramite azioni puntuali, anche se numerose, di ripristino del letto, oltre che di rinforzo delle pareti con opere di ingegneria naturalistica e gabbionature. A valle, al fine di evitare l’accumulo dei fluidi in un’unica sezione del terreno (peraltro vicina a strade), ho progettato una vasca di espansione (sempre attraverso opere di ingegneria naturalistica) di adeguata dimensione, atta ad accogliere il deflusso anche in periodi di grande piovosità. La vasca, interamente composta da gabbionature, mirava a consentire uno smaltimento in tempi ragionevoli e su una porzione di territorio più ampia, così da non alimentare possibili dissesti geologici. Completano la progettazione alcune opere di regimentazione fognaria disseminate all’interno dell’abitato e una bonifica ambientale a valle. Tutto ciò in relazione alla disponibilità economica prefissata (€ 1.000.000,00).

Anche qui, per offrire una sintetica illustrazione delle scelte progettuali, ho elaborato la tavola che segue.

Scelte per Roccacasale

FRANA PREVISTA

CIVITELLA DEL TRONTO. UNA FRANA PREVISTA

Abruzzo, Civitella del Tronto, frazione di Ponzano, 13 febbraio 2017: la terra si muove e non è il terremoto. È una frana gigantesca che, in breve, distacca un intero costone e lo assoggetta a una decompressione di oltre 10 mt. La crepa è enorme, i piccoli borghi sono annientati. Trentatré abitazioni evacuate, per ora, e molte altre in grave pericolo, danneggiate, mortificate, parzialmente devastate. Ma la frana non si ferma. Cosa accadrà?

Sento il dovere di spendere una parola su quello che sta avvenendo e che, prima d’ora, è avvenuto. Ne sento il dovere perché, qualche anno fa, ho avuto a che fare con questo tormentato territorio.

Da febbraio 2011 a luglio 2014 ho lavorato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, affiancando il Commissario Straordinario per la Mitigazione del Dissesto Idrogeologico nella Regione Abruzzo e coordinando il relativo Ufficio Tecnico. Tra i dieci incarichi di Difesa del Suolo (al di là di quelli relativi alla Difesa dei Fiumi e della Costa) affidati alla gestione commissariale, ve n’era uno riguardante il territorio di Civitella del Tronto e denominato Completamento per la messa in sicurezza del movimento franoso e riduzione rischio idrogeologico a ridosso dell’abitato di Villa Carosi.

L’abitato di Villa Carosi si trova ai margini della frazione di Ponzano, ossia quella colpita dalla recente frana. In particolare, si trova a valle dello smottamento, sul costone sprofondato.

Come per ogni intervento in gestione commissariale, effettuai sopralluoghi tecnici anche prima dell’avvio delle fasi propedeutiche all’attuazione (affidamento degli incarichi di rilievo, indagine geologica, progettazione e attività collaterali, verifica, eccetera). La situazione, già allora, si presentava allarmante: case con ampie lesioni murarie, evidenti e scomposte decompressioni delle prospicienti aree verdi, dissesti stradali. Peraltro, cosa che mi stupì non poco, sull’area era visibile un precedente intervento, risalente ad alcuni anni prima e curato dalla Regione Abruzzo, a mio parere decisamente inutile (perfino dannoso), consistente nell’apposizione di limitati setti in calcestruzzo armato, quali tronconi non collegati tra loro e distribuiti irregolarmente sulla collina sottostante l’abitato.

Siccome l’intervento da eseguirsi in gestione commissariale era, tra tutti, il meno finanziato (per un importo totale di € 750.000,00) benché si presentasse come uno dei due a maggior rischio, e siccome i relativi fondi erano stati resi disponibili con un ritardo enorme (23 mesi dopo la nomina commissariale), e siccome occorreva una particolare attenzione per cercare una soluzione che potesse perlomeno mitigare il grave pericolo, decidemmo di inviare ripetute istanze al Ministro dell’Ambiente, alla Protezione Civile, alla Regione Abruzzo. Con esse, il Commissario chiedeva che fosse rivisto il budget e che fosse previsto un maggiore impegno di spesa per lo specifico intervento, nella consapevolezza che la somma disponibile non avrebbe potuto apportare alcun effettivo e duraturo beneficio al territorio.

Mai alcun riscontro dal Ministero. La Regione Abruzzo, con una nota, rispose che l’area in trattazione era classificata dal P.A.I. (Piano di Assetto Idrogeologico) come zona a Rischio Moderato R1 e che si attendeva la ri-perimetrazione a cura della competente Autorità di Bacino. Insomma, la burocrazia prima di tutto! Naturalmente ciò che espongo è agli atti del Protocollo commissariale.

E nulla valse la proposta di far evacuare l’area e utilizzare i fondi disponibili per alloggiare diversamente gli abitanti. Si trattava di un intervento fisico e bisognava eseguirlo. Viva l’Italia!

Né si poteva evocare uno stato di Somma Urgenza, come avvenuto per altri due interventi, data l’esiguità della somma rispetto alle effettive esigenze.

Peraltro, sebbene la classificazione P.A.I. sorprendentemente fosse quella del rischio moderato R1, dall’analisi di alcune precedenti indagini geologiche effettuate da organismi preposti, era timidamente emersa la presenza di una faglia attiva molto profonda e grave, evidentemente trascurata in sede di redazione delle Carte del Rischio. Faglia che oggi, dopo il malaugurato evento, può ricondursi all’andamento dell’ampia lesione del terreno di Ponzano.

E non finisce qui. Il Governo, con Decreto-Legge 24 giugno 2014 n° 91, poi coordinato con la Legge di Conversione 11 agosto 2014 n° 116, mandava a casa i Commissari Straordinari e nominava, al loro posto, i Presidenti di Regione. Ciò a quattro mesi dal termine del mandato commissariale, determinando una situazione drammatica e di enorme sperpero delle pubbliche risorse. Difatti le ingenti attività portate avanti dai Commissari delegati, necessitavano di un periodo di tempo rilevante per avere piena conoscenza degli atti e dell’insieme dei procedimenti avanzati da parte dei Presidenti di Regione. Ne derivava un generale rallentamento (con possibile mutazione delle condizioni dei dissesti) e, in molti casi, la sospensione delle attività di mitigazione. Esattamente quest’ultima circostanza ha riguardato il caso di Civitella del Tronto.

In sede di Relazione di Fine Mandato, il Commissario uscente si preoccupò di rendere noto un possibile scenario di danno temuto, relativamente ai territori di competenza, tra l’altro ricalcando la gravità di quello dell’Abitato di Villa Carosi. Ciò che si è effettivamente avverato.

Personalmente e a seguire, mi sono occutata di segnalare gli avvenimenti, in linea generale, a una forza politica, finalizzando il tutto a un’Interrogazione Parlamentare che io stessa ho redatto. Portata in Parlamento, alzato il polverone del momento, tutto è incredibilmente stato messo a tacere. Incapacità della forza politica? Certamente. Volontà dei vertici governativi? Anche.

Ogni ulteriore considerazione è superflua.

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