Elodia Rossi

N. 9 – Spazi e Luoghi dell’Architettura

Una breve ma intensa carrellata di soluzioni architettoniche del tipo città verde verticale può affidarsi all’analisi delle opere di Vincent Callebaut. Nato in Belgio soltanto 40 anni fa, è già uno dei mostri sacri dell’architettura contemporanea. Vive a lavora a Parigi, è consigliere regionale dell’Ile-de-france, possiede un enorme patrimonio di progetti innovativi affidati a modalità costruttive ecologiche e altamente innovative.

Callebaut interpreta il futuro urbano come un’immersione profonda nella natura più varia. Aria, acqua, terra e fuoco trovano spazio nelle sue ideazioni, senza trascurare però né il ruolo della verticalizzazione, né quello dell’innovazione formale. Movimento o staticità, sinuosità o rigidezza (a seconda dei casi e delle ambientazioni), esplosioni, implosioni, esternazioni inaspettate di una mente in grado di parlare all’Universo.

La coscienza della necessità di un cambiamento di rotta per il divenire urbano si mescola abilmente con il richiamo alla foresta attraverso le più avanzate tecniche e tecnologie. Edifici dalle forme di alti boschi avvicinano i tessuti storici senza alterarne la memoria. La città procede verso il cielo, è autosufficiente, non richiede spazi di suolo circostante da urbanizzare a verde perché è essa stessa verde. Le progettazioni di Callebaut trasmettono questa percezione, austera e difficile per chi non riesce a capire che la verticalizzazione è l’unico appiglio alla vita urbana del futuro.

Agroecologia e sistemi alimentari sostenibili impostati su torri di legno che s’intersecano, in grado di fronteggiare i cambiamenti climatici attraverso sistemi economici e ambientali alternativi, per il progetto Hyperions destinato a New Delh

Foreste verticali autonome, anche energeticamente, a mutare il paesaggio di gare Maritime a Bruxelles, con il progetto Tour & Taxis.

Con edifici a forma di DNA, il progetto Citytrees (anche detto DNA Towers) per Yangzhou (Cina), costituisce un habitat produttivo, generando più energia di quanta necessaria al suo fabbisogno. Gli edifici elicoidali sono progettati anche riciclare i propri rifiuti.

Ancora sulla scia del combattere il cambiamento climatico attraverso l’architettura, nasce il progetto Paris Smart City 2050. Otto Torri plus- energetiche per Parigi, introducono la natura nel cuore urbano e propongono innovativi metodi di cattura dell’energia.

E che dire di Dragonfly? L’edificio metabolico per l’agricoltura urbana di New York? Fonda sulla disponibilità agricola per coltivazioni autonome, all’interno di un complesso misto (alloggi, uffici, laboratori di ingegneria ecologica, eccetera). Una vera e propria azienda verticale, dotata di tutte le forme dell’agricoltura biologica (anche con produzione intensiva e mutante col variare delle stagioni). Un tipo di agricoltura peraltro pensata per il riutilizzo dei rifiuti biodegradabili e per la produzione e conservazione dell’energia. Geniale.

Tra le molte altre progettazioni di Callebaud ce n’è anche una per Roma. All’interno della Città della Scienza, s’inserisce – tra l’altro – un complesso di torri quali ecosistemi urbani autosufficienti per la trasformazione del distretto militare in disuso (ex caserme di via Guido Reni). L’obiettivo progettuale è quello di introdurre un nuovo modo di urbanizzare scommettendo sulla biodiversità: basse emissioni di carbonio, energie rinnovabili, materiali verdi e tecnologie di automazione altamente innovative.

Per quanto tra tutti i progetti di Callebaut è quello che mi piace di meno, questa elaborazione per la Città della Scienza avrebbe potuto dare una spinta non di poco conto alla Capitale, sensibilizzando a una nuova concezione del costruire. Ma è stato scelto il progetto dello Studio 015 Viganò, anch’esso fondato su principi di autosufficienza ma non caratterizzato dall’esplosione in altezza. Senza nulla togliere alla qualità dell’idea vincitrice, continua a dispiacermi l’ostinazione di Roma a privilegiare l’orizzontalità.

N. 8 – Spazi e Luoghi dell’Architettura

Riprendo a parlare di come alcune città affrontano la spasmodica crescita urbana. Ovviamente, come ho detto nei precedenti articoli di questa serie, la mia analisi riguarda i temi dello sviluppo attraverso architetture innovative e capaci di sostenere un percorso di mitigazione del drammatico danno ambientale in atto.

Senza alcuna preoccupazione di risultare tediosa, insisto sul concetto secondo cui non tutto ciò che si costruisce è architettura. L’architettura è arte, non banale edificazione. In quanto tale, l’architettura è – e deve essere – innovazione. Deriva da un percorso di ricerca assiduo, ragionato, intelligente, che mira a guidare il paesaggio verso nuovi scenari orientati al futuro. Il resto non è architettura. Nella migliore delle ipotesi è ripetizione senza crescita. Nella peggiore, è disastro paesaggistico e ambientale.

Nelle città, l’orientamento all’orizzontalità, che ha caratterizzato le espansioni urbane per lunghi Secoli di storia, oggi andrebbe evitato. Il Piano Urbano deve tener conto dello sconvolgente problema dell’uso indiscriminato del suolo, in ragione delle tendenze inarrestabili di fabbisogno abitativo. La città cresce, l’ho dimostrato con dati certi, in maniera esponenziale. Questa incontenibile propensione deve portare a riflessioni attente che non possono essere semplicemente risolte analizzando nostalgicamente (e, direi, ingenuamente) il passato della città, sentimento generalmente traducibile nel convincimento – per la gran parte dei siti urbani, fatta eccezione per alcune metropoli nate più recentemente e sviluppate secondo piani razionali – di utilizzare l’orizzontalità per via di irragionevoli continuità di tessuto o di orientamento storico.

Il pensiero architettonico internazionale, quello vero, affronta magistralmente la problematica e propone soluzioni interessanti in diverse città internazionali. L’Europa si difende bene con gli esempi di alcune Capitali. Ma c’è ancora qualche Nazione, come l’Italia, che stenta a capirne la portata e l’importanza. Lungo discorso, già più volte affrontato: faccio riferimento all’articolo Passato e Futuro per quanto riguarda le motivazioni. Grande responsabilità della politica, ma anche di un pensiero obsoleto che si è diffuso come una metastasi incontrollabile. È ora di dire basta. Intanto Milano sembra essersi convinta, finalmente è in via di guarigione e propone qualche buona pratica (che ritengo ancora timida), come quella del Bosco Verticale progettato da Stefano Boeri per il quartiere di Porta Nuova.

E se, a mio giudizio, l’Hendless Vertical City di Londra (Rif. Art. N.5 Spazi e Luoghi dell’Architettura) rappresenta una delle più affascinanti e convincenti esplorazioni dell’architettura contemporanea, orientata al futuro per innovazione e alla tutela ambientale per concezione, molte altre espressioni formali consacrano l’idea di una nuova visione del costruire.

Mentre il botanico Patrick Blanc dal 1994 suggerisce giardini verticali anche all’interno di cuori storici, come nel caso di Parigi, nell’intenzione ben riuscita di portare il verde dove manca, i maestri dell’architettura sono chiamati a un duplice compito decisamente più impegnativo: risolvere il problema dell’espansione assicurando il diritto all’abitazione. Un compito spesso frainteso dal comune pensare, fino a scorgere insinuazioni aberranti e massificanti del tipo: come l’architettura altera la natura. Meglio lasciar stare.

Viene dall’Europa, più precisamente dall’Olanda, il progetto del Peruri 88 per JaKarta in Indonesia.

Sono gli architetti Winy Maas, Jacob van Rijs e Nathalie de Vries (studio MVRDV) a firmare questo pluri-formale edificio alto 400 metri, articolato in aree-giardino per abitazioni, hotel, spazi comuni, una moschea, un enorme cinema, un anfiteatro all’aperto, una wedding house, molti negozi e uffici, parcheggi, e altro ancora. Una città/campagna nella città che, per la verità, è già abbastanza verde. L’immagine è visibile sul sito dello studio MVRDV, www.mvrdv.nl/en.

Un progetto interessante, che tuttavia non rientra nei miei gusti architettonici (ma è un’opinione personale), al contrario del Green 8 progettato per governare Alexanderplatz a Berlino.

Green 8 è opera intellettuale dei professionisti tedeschi dello studio Architects Agnieszka Preibisz e di Peter Sandhaus. Un’enorme elica che punta al cielo e, da una certa prospettiva, si traduce visivamente nella forma del numero 8 (o infinito, se letto diversamente); una città verticale che accoglie serre e giardini pensili su ogni piano, oltre che orti urbani per la coltivazione autonoma del cibo. Per vederla, basta visitare il sito web dello studio Architects Agnieszka Preibisz  (http://www.apcon-berlin.de).

Contrazione estrema di consumo del suolo, massima espansione volumetrica in sezione orizzontale centrale, bilanciamento dei pesi attraverso la forma elicoidale regolare, suggestione visiva dovuta anche agli effetti di luce e, diversamente dalle altre città giardino, minore ostentazione in facciata della cospicua presenza del verde con derivazione dell’esaltazione architettonica. A me piace molto.

N. 5 – Spazi e Luoghi dell’Architettura

Quinto articolo su Spazi e Luoghi dell’Architettura.

Le baraccopoli, di cui ho parlato nel precedente articolo, rappresentano la più nefasta delle espressioni della città orizzontale.

Il consumo del suolo, la prima delle problematiche che investono gli orientamenti dello sviluppo progressivo orizzontale delle aree urbane, sta determinando ripercussioni abnormi. D’altro canto, i dati riportati nei precedenti articoli, se ragionati e mirati alle dimensioni delle città, sono inequivocabili.

Si corre ai ripari, in qualche modo e in alcune realtà urbane decisamente orientate al futuro. Roma è perdente. L’ho detto più volte e ne ho chiarito alcune delle motivazioni. E non finirò mai di contrappormi allo sconcertante coro di voci che, troppo spesso, s’alza a inneggiare la vocazione della Capitale all’orizzontalità. L’intenzione di approfondire questo argomento, mi porterà ad analizzare Roma come ultima città del mio percorso riflessivo.

Londra, diciamolo, non è nata come una città orizzontale? Ma guarda al futuro, è internazionale, intelligentemente articolata verso un cambio di rotta che non significa rinnegamento della sua storia, piuttosto crescita organica e sapiente. Londra osserva i dati, cerca di superare il degrado, muove nella direzione della contrazione dell’uso del suolo. In termini diversi, viaggia verso la verticalizzazione. E forse non è bella? Non è più bella di prima? Più articolata, più affascinante, innovativa e coerente. Dai fumi, simili a quelli di New York, al superamento percettivo di essi verso l’alto, come New York. Oggi Londra, come Chicago e Berlino e Singapore e Vancouver, fa un ulteriore passo in avanti, avvicinandosi anche ai temi delle fattorie verticali, luoghi del vivere e del produrre autonomamente.

Ma è proprio Londra (più estesamente, l’Inghilterra) la sede privilegiata di una corrente di pensiero che intravedeva, già dal XIX Secolo, la necessità di un cambio di rotta. Che dire delle significative intuizioni di Owen e di Howard, che hanno determinato una rivoluzione nel pensare l’architettura e l’urbanistica di lì a venire? Le ottocentesche e novecentesche sperimentazioni e gli studi sulle città ideali fondavano prevalentemente sul concetto di abitare nella natura, superando la quota della superficie terrestre. Le città giardino, in contrapposizione alle periferie giardino (introdotte, direi, per distorsione delle intenzioni dei padri fondatori, le cui realizzazioni erano prevalentemente destinate a classi sociali privilegiate), già allora nascevano dalla volontà di liberare la città dalla crescente congestione e dotare i cittadini del rapporto continuo con il verde, pur restando in ambito urbanizzato. L’approccio di partenza, per la verità inizialmente tradotto in satelliti urbani (come nel 1907 Hampstead alla periferia di Londra, oppure nel 1921 Floreal e Logis nella periferia di Bruxelles), ha però rappresentato una pedana di lancio importante per una ricerca di grande fascino.

Da allora si è fatta tanta strada, anche se l’inaspettata mutazione della società mondiale ha talvolta prodotto mostri, spesso distogliendo da un percorso probabilmente vincente se affrontato razionalmente e metodicamente. Tant’è vero che oggi, dopo quasi due Secoli di storia, finalmente l’idea di città giardino torna a trionfare con sperimentazioni e proposte di elevato approccio architettonico ed estensioni funzionali.

Così, mentre Chicago già vanta la sua fattoria verticale, la FarmedHere a Bedford Park, altre città muovono verso la nuova idea di città giardino. È il caso, ad esempio, della Green8 nel centro di Alexanderplatz a Berlino, progettata da Architects Agnieszka Preibisz e Peter Sandhaus. Ma è anche il caso del progetto pensato dallo studio Japa Architects per rispondere al fabbisogno alimentare delle città asiatiche: affascinanti torri a elementi circolari non concentrici e mobili, ossia in grado di cambiare direzione per favorire l’illuminazione delle aree verdi.

Londra si distingue ancora, con la proposta per Shoreditch della Endless Vertical City: alta 300 metri, questa torre è progettata dallo studio SURE Architecture per racchiudere un ecosistema e costituire, da sola, una città. Destinata a contenere l’insieme delle funzioni urbane essenziali, continuamente rapportate a spazi verdi dimensionalmente ragguardevoli, è una fabbrica d’impronta vagamente decostruttivista, con soluzioni che ammorbidiscono e disorientano piacevolmente, rappresentativa dunque di una nuova concezione formale dell’architettura. Consiglio di visitare il sito ufficiale della SURE Architecture (http://www.sure-architecture.com), dove si trovano immagini bellissime di questo edificio.

L’impianto strutturale (pensato in tubolari d’acciaio) è progettato per reggere su una superficie di base di mq 3.318 e produrre, in verticale, ben 165.855 mq di aree a verde. Una città verde nella città storica.

Per quanto il concetto di ecosistema introdotto come uno degli obiettivi progettuali, a mio parere potrebbe destare alcune obiezioni, è pur vero che l’approccio fonda su basi ecologiche anche nella scelta dei materiali costruttivi e di finitura. In ogni caso, dal mio punto di vista è stupefacente.

L’obiettivo della riduzione del consumo di suolo è affrontato sia in termini orizzontali, ossia con la contrazione della superficie terrestre impiegata per la realizzazione della costruzione, sia in termini di amplificazione delle aree verdi ai vari piani, con la dotazione di veri e propri giardini privati e collettivi.

Si tratta di una decisa e coerente risposta all’orientamento odierno della ricerca urbanistico/architettonica su scala planetaria.

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