Elodia Rossi

N. 1 – Riqualificazione Centro Storico

Anno 2008.

Il Comune di Santi Cosma e Damiano indice una gara a procedura ristretta per l’affidamento di servizi di progettazione e pianificazione mirati al recupero e alla valorizzazione del Centro Storico.

In sostanza si tratta di riqualificare l’area prossima alla sede comunale, tramite il recupero/rifacimento di un sistema di tre piazze pressoché contigue.

Partecipo e mi aggiudico l’appalto. Motivata dall’appartenenza al luogo, muovo verso il progetto che più avanti illustrerò con alcuni articoli numerati, a partire da questo.

Sono passati alcuni anni, tra lentezze burocratiche ormai superate, e finalmente si sta procedendo verso la realizzazione dell’opera. Sarò io, avendo già redatto il progetto da tempo approvato, a dirigere i lavori.

Lo scenario

Posto a 181 ml s.l.m., Santi Cosma e Damiano possiede un territorio esteso circa ha 3020, con densità di popolazione per kmq è pari a 220,02 unità (in crescita rispetto al dato censuario del 2001, che ne contava 207,0).

La popolazione in valore assoluto è pari a 6.995 unità (ultimi dati censuari ISTAT, con lieve incremento rispetto ai dati del 2001, quando la popolazione contava 6.532 unità, di cui 3.165 maschi e 3.367 femmine). Il numero complessivo delle famiglie residenti è pari a 2.478 circa e il numero delle abitazioni è di 3.200. Dato, quest’ultimo, che supera il numero delle famiglie, attestando il fenomeno di spopolamento che si è intensificato soprattutto negli anni precedenti la rilevazione censuaria del 2001 e che, tra i due censimenti, sembrava aver lievemente invertito rotta.

Tra gli anni 2001 e 2011, intervallo tra i due censimenti ISTAT, si è dunque assistito a un incoraggiante fenomeno: il mercato degli acquisti di abitazioni nell’area comunale era in aumento, in particolare per via di acquirenti provenienti dal napoletano e dalla Capitale (e/o aree limitrofe), investendo così il territorio di un ruolo rinnovato nell’accoglimento, con prospettive positive per la complessiva qualità della vita. Ne avrebbe potuto derivare una crescita economica, anche se con valori moderati, nonché un indiscutibile beneficio per la popolazione residente in termini complessivi di organizzazione sociale.

In questo contesto, corrispondente agli anni di redazione del progetto, il ruolo del Centro Storico assumeva di certo un’importanza non trascurabile e il programma di recupero rappresentava un elemento di grande sfida per il miglioramento dell’immagine del territorio in questione. La posizione dell’intervento, nel contesto del Centro Storico e sulla direttrice d’ingresso (via Garibaldi) che conduce ai principali attrattori (Chiesa patronale, Piazza Tommaso Rossi, Auditorium, Municipio), ne determinava il duplice ruolo di attrattore e di elemento strutturale a servizio della popolazione (e del visitatore).

Purtroppo le ricadute della recente e nota crisi economica mondiale – che in luoghi di minore dimensione si avvertono con un certo ritardo – hanno arrestato il processo di crescita e rinnovato lo spopolamento (dopo il 2011). L’inversione di rotta sembra aver ripreso i ritmi tipici subordinati allo sviluppo delle grandi urbanizzazioni, ormai indiscussi attrattori. E il territorio di Santi Cosma e Damiano è pressoché intermedio tra Napoli e Roma, due tra le maggiori urbanizzazioni italiane (le maggiori, lo ricordo, sono tre. Nell’ordine: Roma, Milano e Napoli).

Tuttavia e proprio per questi recenti gravi problemi, l’importanza di dare impulso alla visibilità del territorio assume oggi una maggiore forza: fattore di contrasto al processo di degrado fisico e di mortificazione economico/turistica.

Le basi programmatico/progettuali

Si tratta di un percorso di pianificazione alla micro scala, con l’inclusione di componenti di progettazione architettonica.

Oggi: Piazza Pensile dall’alto

Il territorio circostante l’area d’intervento, pur essendo in posizione centrale, soffre di un certo livello di degrado anche per la presenza di circoscritti nuclei con grave incidenza di strutture fatiscenti. Il sistema del decoro complessivo appare scoordinato (ad esempio, nelle colorazioni/decorazioni delle quinte stradali prossime all’area d’intervento) e vetusto nella concezione architettonica di molti dei fabbricati recentemente ristrutturati.

Riguardo l’area specifica d’intervento, risulta particolarmente degradata e decisamente non funzionale la Piazza Pensile.

Nata alcuni anni fa, la sua disarticolata conformazione non ha mai concesso alcuno stimolo alla fruizione.

Oggi: degrado Piazza Pensile

Problemi aggiuntivi, sorti poco dopo, di carattere strutturale (come le diffuse infiltrazioni, gli accumuli acquiferi, gli scollamenti delle pavimentazioni e dei rivestimenti), hanno aggravato la già sgradevole situazione.

Le altre due Piazze, Medaglia d’Argento e Largo Savoia, benché in condizioni decisamente migliori (difatti sono abitualmente frequentate), necessitano comunque di recuperi importanti – sia funzionali che strutturali – e di coordinamento funzionale/estetico per la messa a sistema.

Le tre piazze (Piazza Medaglia d’Argento, Largo Savoia e Piazza Pensile), oggi dunque fruite solo in parte e funzionalmente/esteticamente disconnesse, benché limitrofe, offrono interessanti spunti per il recupero e per l’acquisizione dell’atteso ruolo di attrazione turistica, oltre che di stimolo all’uniformità futura dello spazio urbano centrale.

Il progetto prevede che gli spazi siano organizzati con logiche di separazione delle funzioni principali, in modo tale da non sovrapporre disordinatamente le destinazioni d’utilizzo specifiche, pur nella concezione dell’uniformità estetica e della continuità urbanistica. Gli accessi alle aree interne sono pensati quasi unicamente pedonali. Il sistema degli accessi/collegamenti mira a soddisfare sia esigenze di fruibilità, sia esigenze di integrazione complessiva.

Le scelte progettuali hanno seguito un sostanziale principio di metodo: consegnare al territorio un intervento esteticamente e funzionalmente valido, in modo da rendere maggiormente fruibile l’area e – come detto – trasferire l’immagine di un nuovo elemento attrattore che non entri in contrasto con la vocazione storico/territoriale, ma che abbia comunque un valore di certa innovazione e di “illustrazione” dell’insieme territorio.

Ne parlerò nei prossimi articoli della serie.

Architettura ed Etica

I temi scaturenti dal rapporto tra architettura ed estetica/architettura ed etica sono indissolubilmente connessi.

L’estetica in architettura non può mai essere scissa dall’etica, visto che la cura della bellezza artistica è di per sé un tema morale.

Forme, articolazioni, proporzioni e perfino il superamento delle proporzioni devono rispondere a requisiti di armonia, senza disconoscimento della natura funzionale del manufatto in ideazione. Va tenuto presente, sempre, che la creazione artistica rappresenta il segno di un’epoca per le generazioni a venire.

In questo periodo storico e soprattutto in Italia, la preoccupazione che deriva dall’assenza di fondamenta concettuali in grado di orientare le scelte architettoniche, dovrebbe spingere verso quel dibattito che ho auspicato fin dall’inizio in questo blog (Rif. Articolo Architettura Contraddetta e seg.). Bisogna generare un movimento d’opinione, destinato al raggiungimento di parametri o elementi condivisibili (e condivisi), quali punti cardine su cui fondare il presente e il futuro dell’architettura.

Questo è un tema etico, il principale, nei confronti del quale noi architetti dobbiamo essere consapevoli e agire di conseguenza.

Un tema che non si esaurisce con l’individuazione di nuovi cardini per l’architettura, da sancire attraverso un elenco di principi, ma che comprende anche successive azioni educative ad ampio raggio, nella consapevolezza che soltanto la coscienza collettiva potrà consegnare all’architettura il ruolo di promotore dell’estetica e dell’etica nell’arte. È, oppure no, la Regina?

Difatti, basti pensare a cosa è derivato, in tempi piuttosto recenti, dall’enunciazione dei cinque punti della nuova architettura di Le Corbusier. Basti riflettere sulla distorsione, ad esempio, scaturita nel tempo dall’applicazione non ragionata dei concetti di pilotis e di plan libre.

Nel parlare di questo argomento con mio nipote Riccardo, promettente futuro architetto (il mio orgoglio sta nel modo con cui questo studente di architettura si pone nei confronti di tematiche architettoniche globali), ho capito che i giovani posseggono un’apertura incoraggiante verso il futuro dell’architettura. Lui ha disquisito in merito all’attuale assenza di valori, o principi, riguardo tutte le arti: dalla musica alla pittura, alla scultura, eccetera. È vero, più che giusto. Mancano riferimenti un po’ dappertutto. Derivazione di un’epoca che paga il degrado collettivo derivato dalle produzioni frenate del dopoguerra e dall’esaltazione dell’individualismo come elemento di rottura, di alterazione della coscienza collettiva. Tutto questo senza capire che l’individualismo, inteso come espressività soggettiva, può e deve avere il suo ruolo all’interno di un contesto sano e partecipato. Qui è la vera sfida.

Proprio in questo concetto si afferma la ragione che deve spingere verso un nuovo e coerente modo di affrontare l’architettura, eticamente, così da sostenere i corretti percorsi estetici individuali e abbattere quelli derivati da esaltazioni prive di elementi fondanti.

Sto riflettendo. Presto enuncerò alcuni principi che riterrò basilari per la nuova architettura. Ne comporrò un MANIFESTO in bozza, tramite una pagina dedicata di questo blog, che sottoporrò alla discussione di tutti coloro che vorranno partecipare. Confido che ne derivi un dibattito in grado di produrre un nuovo Testo Sacro dell’architettura del domani più prossimo.

Architettura ed Estetica

Questa mattina, sulla pagina Ordine degli Architetti di Facebook, un collega – l’architetto Salvo Cimino – ha girato un post derivato dalla sua interessante pagina personale Cimino Design Studio. Consiglio di leggerne i contenuti.

Il post tratta dei concetti di bellezza, di proporzioni, di estetica e, in un certo senso, di etica. Il tema è affrontato relazionando tre volti femminili, due dei quali noti al mondo: quello di Julia Roberts e quello di Ingrid Bergman. Il terzo volto è rappresentativo delle proporzioni ideali. Eppure, ne esce perdente. Da tale acuto spunto, il collega Cimino passa ai temi dell’architettura e, con lucidità, affronta un concetto che, a mio parere, apre le porte al vero e attuale dibattito sull’estetica e l’etica delle forme architettoniche.

Ho commentato il post con una nozione, la cui paternità si deve al maestro Giorgio Albertazzi, secondo cui la bellezza è l’armonia delle imperfezioni.

Etica ed estetica, fonti privilegiate del pensiero filosofico d’ogni tempo, appartengono strettamente all’architettura. Ed è vero che l’estetica ha preso il sopravvento nell’animo dei maestri della contemporaneità, le cui esternazioni risultano spesso prive di personalizzazione. O meglio, la personalizzazione resta in capo all’autore, penalizzando il committente (colui che vivrà l’ambiente) della sua storia, del suo essere, della sua consuetudine di vita. Concetto che trova terreno fertile soprattutto nel campo dell’edilizia privata. È qui che ogni buon architetto deve individuare la giusta mediazione, esercitando la capacità di esaltazione dell’idea, senza disattenzione delle aspettative altrui.

Per gli ambiti monumentali e pubblici, il discorso possiede altre prerogative: i beni comuni, i bisogni collettivi, luoghi nei quali il rapporto forma/funzione si dilata.

Nel caso dell’edilizia privata, credo che bisogna osservare l’opera di alcuni maestri con una giusta dose di distacco, nell’intenzione di comprenderne gli elementi di innovazione, quali risultati di percorsi di ricerca formali. Un po’ come alcuni degli abiti di alta moda che vengono fatti transitare sulle passerelle, ma che nessuno indosserà mai.

Il concetto della relatività temporale della bellezza mi stimola molto. E coincide con quanto ho sostenuto e sostengo in questo blog. Non c’è architettura fin quando si emula il passato. La Roberts, con tutte le sue imperfezioni, è un’icona della bellezza di oggi. La Bergman, benché più armonica, è icona della bellezza di altri tempi.

Forse non sono spettacolari alcuni edifici rinascimentali? Lo sarebbero altrettanto se fossero edificati oggi? Passato e presente, ognuno col ruolo che vi si deve, per la costruzione del futuro (Rif. articolo Passato e Futuro).

I canoni della bellezza (dell’estetica architettonica) necessitano di riferimenti, sia assoluti che temporali. Al di là dei gusti del singolo, derivazioni di percorsi culturali personali, è necessario che siano individuati elementi superiori, in grado di orientare e caratterizzare la contemporaneità architettonica. Un bisogno, questo, percepito in ogni epoca, fin dall’intramontabile Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci. Più vicini nel tempo, tornano alla mente i cinque punti della nuova architettura di Le Corbusier, poi distorti da adattamenti infelici. Ritorna il tema della necessità di una formazione collettiva che deve affidarsi alla ricerca della buona architettura e alla relativa corretta divulgazione.

Architettura e Ambiente: Energie Rinnovabili

Architettura e Ambiente: sembrerebbe un binomio, caratterizzato da due distinte entità benché interagenti. Non è così perché l’architettura è, essa stessa, ambiente.

Ciò che oggi passa per Economia Verde (in anglosassone, Green Economy) include tutti quei provvedimenti destinati alla contrazione dell’impatto ambientale, tramite azioni a favore della sostenibilità. Si parla di energie rinnovabili, di riciclaggio dei rifiuti, di riduzione dei consumi.

Non mi soffermo sul concetto di sviluppo sostenibile, a mio parere avulso dalla realtà e da me criticato in alcuni studi e pubblicazioni, ritenendo più utile parlare di sviluppo meno insostenibile.

Desidero, invece, analizzare i tre capisaldi dell’Economia Verde, partendo – tramite questo articolo – con quello relativo alle energie rinnovabili.

Bisogna prima rimettere al loro posto i concetti. Le energie rinnovabili sono il sole, il vento, l’acqua. Pannelli solari, eolico, termodinamico, altro non sono che strumenti di cattura delle energie.

Emergono alcune contraddizioni tra la tutela dell’ambiente e l’impiego di alcuni di questi strumenti, che possono ricondursi a due grandi temi: l’estetica e la salvaguardia naturale.

Il tema estetico

I pannelli solari, ad esempio, sono antiestetici e l’impatto che generano sul paesaggio è davvero notevole. Un impatto negativo che si deve soprattutto all’usuale modalità di applicazione di questi strumenti: cineree distese pannellate su tetti e coperture d’ogni tipo, con frequente alterazione visiva della sagoma d’origine. Ne derivano paesaggi snaturati e stilisticamente squalificati (laddove è apprezzabile qualche stile). Qui dovrebbe correre in soccorso il buon architetto, ricercando modalità applicative in grado di annientare (o, perlomeno, contrarre) il danno estetico. Qualche studio interessante è emerso nel corso dei recenti anni, come quello della creazione di un finto albero portante le pannellature. Non male, ma bisognerebbe approfondire, migliorare e produrre nuove idee. Un buon aiuto viene soprattutto dall’introduzione di nuovi strumenti di cattura, come le tegole solari, il cui impatto visivo si riduce drasticamente, spesso fino all’annientamento.

Personalmente non trovo altrettanto antiestetiche le pale eoliche. Talvolta producono suggestioni piacevoli su alcuni paesaggi. Ma qui, problemi di altra natura sono davvero insostenibili.

Il tema della salvaguardia naturale

Oltre la questione estetica, già di grande rilevanza e parte attiva nella salvaguardia paesaggistica, mi permetto di porre qualche circostanziato dubbio sul tema della tutela naturale in senso ampio, vale a dire sull’effettiva capacità di contrazione dell’impatto ambientale funzionale. Mi sono sempre chiesta: quando il ciclo di vita dei pannelli solari si esaurisce (mediamente 15-25 anni), dove e come sono smaltiti questi strumenti, visto che si tratta di rifiuti assimilati agli elettronici? Né, come spesso strumentalmente affermano le aziende di settore, viene in soccorso il D.Leg. n. 49/2014, visto che il tanto richiamato art.40 pone l’accento più sui meccanismi di incentivazione che su altro. Senza contare che l’intero Capo II (Deposito preliminare alla raccolta, raccolta, trattamento adeguato e recupero) appare più orientato all’organizzazione degli smaltimenti e meno alle relative modalità. Qualche cenno si rinviene nell’art. 18, ma è poca cosa surrogata da molti rimandi a futuri Decreti, Accordi di Programma, e altro ancora. La verità è che la quantità potenziale di materiale da smaltire preoccupa e non poco. Bisognerà confidare sulle ricerche mirate alla rigenerazione dei pannelli. Ma converrà al mercato?

E tutto questo, senza aver fatto cenno alla più consistente delle contraddizioni: qualche esperto mi dice che la produzione di un pannello solare richiede più energia di quanta esso ne possa produrre lungo il suo ciclo di vita. Insopportabile.

Per le pale eoliche, il problema dello smaltimento è ancora più gravoso. Il ciclo di vita delle turbine si aggira intorno ai 25 anni e le pale raggiungono perfino dimensioni di 90 mt in lunghezza. Come smaltirle, visto che oggi – nonostante contengano elementi tossici – finiscono in discarica? E poi è stato accertato, tra le numerose componenti negative, che questi strumenti di cattura hanno il potere di deviare le rotte degli uccelli migratori (talvolta addirittura di sterminare intere popolazioni in migrazione), generando un danno enorme agli ecosistemi di cui l’uomo, non si dimentichi, è parte attiva. Qualche buon auspicio giunge dal settore, ancora acerbo, del micro-eolico. Speriamo bene.

La dolorosa verità è che siamo negli ambiti sfacciati dei grandi affari. Sono nate e nascono come funghi aziende di produzione di strumenti per la cattura delle energie rinnovabili e, di pari passo, aziende per i relativi smaltimenti. Piogge di incentivi pubblici, dunque, a sostegno di uno scenario che manca di efficaci normative e cozza contro alcuni principi della tutela ambientale. Se per economia verde s’intende anche il buon riciclaggio dei rifiuti, non è forse una contraddizione in termini?

Quali soluzioni? Ce ne potrebbero essere e ne parlerò.

Amici architetti, anche qui è necessario il nostro contributo e, prima ancora, la conoscenza e l’analisi dei fatti.

N. 5 – Il Progetto di una Chiesa

Senza girarci troppo intorno, data la contrazione espressiva che richiede un articolo, tramite qualche render vi mostro il risultato formale delle attività progettuali architettoniche relative alla Chiesa.

Ogni approfondimento, come più volte detto, sarà riportato nell’ebook.

Chiesa: vista frontale diurna

 

Chiesa: vista frontale notturna

 

Le due immagini del fronte, l’una diurna e l’altra notturna, mostrano la responsabilità che possiede il gioco illuminante all’interno di questo progetto. Ma si tratta di una Chiesa e, per sua funzione, il rapporto con la luce assume sostanziale importanza.

Le fessurazioni finestrate (con costante larghezza pari a cm 28 circa, e a differenti notevoli altezze: da cm 700 a cm 1100 circa per l’Aula Liturgica principale), oltre a contribuire alla restituzione della segmentazione delle forme singole a Sukkà (richiamandone l’evocazione), definiscono rapporti di luce tra interno ed esterno dell’edificio. Concetto che vale anche per le fessurazioni orizzontali, poste a segmentare la copertura dell’edificio.

Chiesa: vista interna Aula Liturgica

Questa nuova renderizzazione mostra l’interno dell’Aula Liturgica e la logica scelta per l’illuminazione. Sostanzialmente, abbiamo adottato tre tipologie di corpi illuminanti:

  1. quelli a terra e incassati nella pavimentazione, con proiezione dal basso, e posti in corrispondenza delle fessurazioni finestrate,
  2. quelli a sospensione, che utilizzano le assi della travatura reticolare per il passaggio dei cavi e la distribuzione all’interno dell’Aula,
  3. quelli a faretto direzionale, nascosti all’occhio del fruitore e destinati all’illuminazione puntuale e suggestiva dei Poli Liturgici: Altare, Ambone, Fonte Battesimale, Sede del Celebrante, oltre che Tabernacolo (questo posizionato all’interno della Cappella Feriale, come da norme CEI).

Il gioco degli incroci di fasci di luce è stato possibile attraverso l’impiego di faretti multipli. Un particolare magnetismo percettivo è affidato al Crocifisso marmoreo e monocromatico posizionato in fondo al Presbiterio. Qui abbiamo scelto di utilizzare luce artificiale proveniente dal basso, luce naturale proveniente dai lati e dall’alto, quest’ultima anche incanalata nel parallelepipedo generato dall’impennata dei setti della Chiesa, laddove raggiunge la sua massima altezza.

Chiesa: vista d’insieme dal retro

L’immagine renderizzata del retro della Chiesa mostra la posizione, tra l’altro, del corpo della Cappella Feriale e di quello del Luogo per le Confessioni. Il confronto tra questa immagine e l’analoga precedentemente riportata nell’articolo “Un Progetto: la Forma”, suggerisce quali miglioramenti siano intervenuti nel corso della fase di perfezionamento formale.

Propongo una riflessione sul tema del rapporto tra scelte formali e materiali. Già precedentemente ne ho parlato, chiarendo le motivazione dell’impiego del calcestruzzo armato, con additivi coloranti per una restituzione tendente al bianco.

Ma anche l’impiego della travatura, quale elemento strutturale, trova una relazione esplicita con aspetti funzionali (l’uso dei cavi perla distribuzione dei corpi illuminanti) e, ovviamente, formali.

E cosa dire della sagomatura laterale dei pannelli di copertura per la raccolta delle acque meteoriche?

Tanti possono essere gli esempi e altrettante le relazioni.

Insomma: forma e funzione, struttura e materiali, sono rapporti che generano un’interfaccia continua con i valori dell’estetica.

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