Elodia Rossi

La voce della scienza

un incendio doloso

I temi dei cambiamenti climatici e del surriscaldamento globale vengono oggi frequentemente relazionati a quello dell’inquinamento, come fossero inscindibilmente correlati: comunemente gli uni vengono interpretati come derivazioni dell’altro.

E troppo spesso si emanano documenti ufficiali – tanto per citarne uno, l’Accordo di Parigi – che si pongono l’obiettivo di agire per determinare la riduzione del surriscaldamento con ipotetiche lotte (mai troppo chiare) per il governo del clima.

Già ho accennato alla posizione del Professore Emerito Antonino Zichichi, uomo che ha dedicato la vita alla creazione di funzioni matematiche in grado di interpretare la fisica delle particelle e i sistemi terrestri, anche seguendo la scia delle scoperte di Einstein e di Newton. Ciononostante è proprio il professor Zichichi a chiarire l’impossibilità di determinazione di un’equazione sul clima, date le infinite variabili in gioco. Come ho già detto (Rif. Art. Verità e Confusione): troppi parametri liberi, fino al punto che occorrerebbero ben tre equazioni differenziali non lineari accoppiate. Vale a dire che esiste un tale livello di improvvisazione (fattori esterni non governabili, come i raggi cosmici) che non permette la costruzione di alcuna formula matematica esatta. In altri termini, l’impossibilità di razionalizzazione matematica di un qualsiasi fattore, corrisponde all’impossibilità del relativo governo, ivi incluse le componenti di previsione a medio-lungo termine. È pur vero che numerosi altri studiosi  sostengono la tesi secondo cui la climatologia risponde a modellistiche multiple ma, per quanto abbia studiato e ricercato, non ho individuato alcun modello unico, complessivo, autosufficiente. In questa direzione, per dovere di analisi, cito un lavoro dell’IPPC (Intergovernmental Panel on Climate Change), contenuto nel Quinto Rapporto sul Clima e intitolato Climate Model Development and Tuning, che espone e articola parametri di numerose equazioni diverse che insieme concorrono a definire le varie componenti del sistema climatico. E se gli studiosi dell’IPPC sono in perenne disputa con Zichichi, resta viva la constatazione secondo cui si tratta di numerose componenti, ma non di un’equazione complessiva e risolutiva. Quanto possa offrire una modellistica multipla in termini di interpretazione dei fenomeni, non so dirlo: mi mancano sufficienti basi conoscitive. Non mi resta che limitarmi a rappresentare le differenti opinioni e commentare solo laddove le mie competenze riescono ad arrivare.

Posso invece esprimere qualche giudizio sul comportamento umano riguardo l’approccio ai temi scientifici e non. E difatti noto che quando ci si trova dinanzi a studi, ricerche, esamine di differente natura, generalmente la voce della scienza viene ascoltata. A questa si consegna la funzione di dirigere verso ogni tipo di approfondimento, finanche – lasciatemelo dire – quando ci si trova a trattare argomenti che, per loro essenza, non possono essere contratti all’interno dei campi scientifici. Con il termine scienza dovrebbe richiamarsi ogni disciplina che può essere incontestabilmente tradotta in linguaggio matematico (verità oggettiva, rigore metodologico), ossia riconducibile a formule esatte, e che si fondi su fattori inequivocabili, non su casistiche e percentuali (come avviene, per esempio, per la medicina occidentale, comunemente interpretata scienza suprema). Tant’è che quando si trattano temi medici si richiama erroneamente la scienza esatta e vi si dà credito assoluto, senza contare l’unicità di ogni individuo e le profonde differenze che governano la fisiologia e la vita di ogni essere. Né in questo modo le si consegna il giusto valore, visto che proprio per l’eterogeneità a cui si rivolge è una disciplina estremamente complessa. Consiglio la lettura del libro di Giorgio Cosmacini, La medicina non è una scienza esatta, il quale ha avuto finalmente il coraggio di esternare ciò che ognuno, con quella dose di critico buon senso, avrebbe potuto capire.

Al contrario, quando si trattano temi afferenti al contenitore supremo dell’irrefutabilità, sembrerebbe che la scienza sia messa da parte, mentre si assiste di fatto alla traduzione delle più svariate opinioni. Assurdità o strumentalizzazione?

Così accade per la climatologia, ad oggi considerata non scienza esatta dalla vera scienza (o perlomeno non definitivamente ricondotta all’ineccepibilità, essendo materia di approfondimento scientifico in corso), verso cui l’opinionismo diventa legge. Tanto (e come detto) da generare documenti programmatici che coinvolgono le più elevate sfere dei governi mondiali e, quel che è peggio, creano nuove e intoccabili poltrone di effimero potere. Tema vasto, al quale dedicherò numerosi articoli, analizzando – uno per volta – i 29 punti del magistralmente e strumentalmente elogiato Accordo di Parigi.

Ora torno qualche anno indietro. È il 2012 e Zichichi espone pubblicamente i concetti che riporto di seguito, utilizzando le testuali parole del professore, come tratte da un’intervista concessa al quotidiano Il Giornale.

Il motore climatico è in gran parte regolato dalla CO2 prodotta dalla natura, quella CO2 che nutre le piante ed evita che la Terra sia un luogo gelido e inospitale. Quella prodotta dagli esseri umani è una minima parte, eppure molti scienziati dicono che è quella minima parte a produrre gravi fenomeni perturbativi. Ma ogni volta che chiedo loro di esporre dei modelli matematici adeguati che sostengano la teoria (e comunque oltre ai modelli servirebbero degli esperimenti) non sono in grado di farlo. Serve un gruppo di matematici che controlli i modelli esistenti e dia dei responsi di attendibilità.

Tra l’altro molto spesso i teorici dell’ecologia, che criticano l’eccessiva produzione di CO2, sono gli stessi che si oppongono a testa bassa al nucleare.

Focalizzando il tema del surriscaldamento globale, voglio riportare anche le analisi del Premio Nobel Carlo Rubbia (esposte pubblicamente nell’anno 2014, in una conferenza al  Ministero dell’Ambiente). Egli afferma i concetti che seguono (tradotti in una sintesi non testuale).

<<Il clima della Terra è sempre cambiato. Oggi si pensa, probabilmente in maniera falsa, che controllando le emissioni di CO2 – Anidride Carbonica, il clima della Terra possa non subire variazioni. Non è vero.

Va esaminato il trend di variazioni che la Terra ha subito nel corso dell’ultimo milione di anni. In questo non banale lasso di tempo, la Terra è stata dominata da periodi di glaciazione con temperatura media pari a 10 gradi sotto lo zero, fatta eccezione per brevissimi periodi durante i quali si sono avute temperature del tutto simili a quelle di oggi. L’ultimo di questi contratti periodi si è verificato 10.000 anni fa, ossia quando si sono impostate le basi dell’odierna civilizzazione con l’uso agricolo dei suoli e lo sviluppo delle aree maggiormente urbanizzate.

Variazione nella variazione, nel corso degli ultimi due Millenni, la temperatura terrestre è mutata profondamente, generando notevoli oscillazioni. In epoca romana era decisamente più alta di adesso. Nel periodo basso-medievale si è verificata una modesta glaciazione, mentre intorno al calare del Primo Millennio d.C. si è assistito ad un aumento tale da ricondurre la temperatura ai valori dell’epoca romana. Poi, tra il 1.550 e il 1.600 è intervenuta una nuova mini-glaciazione.

Perfino nel corso degli ultimi cento anni si sono registrate variazioni notevoli delle temperature, intervenute ben prima delle rilevazioni a effetto serra (ad esempio, si ricorda la mutazione intervenuta nel corso degli anni ’40). Certamente l’intervento umano ha determinato alcuni recenti cambiamenti, dovuti anche alla moltiplicazione dei valori di popolamento dei territori e, di conseguenza, al consumo di energia esponenzialmente più alto (11 volte maggiore di 70 anni fa).

Dal 2000 al 2014, la temperatura della Terra non è aumentata, piuttosto è diminuita di 0,2 gradi. Negli ultimi 15 anni non c’è stato nessun cambiamento climatico dimensionalmente rilevante. Dunque non si è di fronte a un’esplosione della temperatura: questa è aumentata fino al 2000 e da quel momento risulta essere pressoché costante (con regressione, come detto, di 0,2 gradi). Non è banalizzabile, dunque, il comportamento apparentemente schizofrenico del Pianeta, né possono essere governate le variazioni climatiche>>.

Vado avanti negli anni e arrivo al 2017, quando Zichichi rilascia una nuova intervista al quotidiano Il Mattino. Queste le sue parole:

L’inquinamento esiste, è dannoso, e chiama in causa l’operato dell’uomo. Ma attribuire alla responsabilità umana il surriscaldamento globale è un’enormità senza alcun fondamento: puro inquinamento culturale.

L’azione dell’uomo incide sul clima per non più del dieci per cento. Al novanta per cento, il cambiamento climatico è governato da fenomeni naturali dei quali, ad oggi, gli scienziati non conoscono e non possono conoscere le possibili evoluzioni future.

In nome di quale ragione si pretende di descrivere i futuri scenari della Terra e le terapie per salvarla, se ancora i meccanismi che sorreggono il motore climatico sono inconoscibili? Divinazioni!

Perché molti scienziati concordano sul riscaldamento globale dovuto all’attività umana? Perché hanno costruito modelli matematici buoni alla bisogna. Ricorrono a troppi parametri liberi, arbitrari. Alterano i calcoli con delle supposizioni per fare in modo che i risultati diano loro ragione. Ma il metodo scientifico è un’altra cosa.

Da queste dichiarazioni della scienza io esco trafelata, anche inquieta, ma certamente più consapevole. Tanto che ripercorrerò ogni articolo precedentemente scritto per rettificarlo, evitando di appartenere, seppur finora inconsapevolmente, a quella coltre di distratti ambientalisti (come sempre, la massa fa danni) o teorici dell’ecologia (come dice Zichichi), le cui azioni spesso mi ripugnano. Perché voglio essere sì ambientalista al massimo grado, ma con consapevolezza e ragione, con coscienza e valori, cercando di apportare – con i mezzi culturali di cui dispongo – il miglior contributo che la Natura mi consente alla difesa dell’ambiente e degli ecosistemi. E voglio farlo concentrando ancora l’attenzione sui danni che l’uomo esercita contro la Natura, sulle azioni spudorate nella generazione di disastri inquinanti e nella perpetuazione delle devastazioni della vita animale. Perché questi generi di distruzioni non di certo posseggono minor valore se relativamente scissi dal surriscaldamento.

Con questo stesso spirito voglio affrontare la prima citata analisi del delirante Accordo di Parigi (divinazioni, come dice Zichichi), senza esclusione di richiami all’altrettanto illusorio Our Common Future.

verità e confusione

Dal Rapporto Brundtland all’Accordo di Parigi, dall’informazione (o disinformazione) massiccia alla scienza nascosta.

Ho parlato, in molti articoli, dei problemi planetari e dei danni ambientali. Ho cercato di analizzare eventi, fatti, situazioni, ma soprattutto dati ufficiali e poco noti. Ho messo del mio, ossia ho esaminato tutto con occhio critico e assolutamente imparziale.

Poi, per un certo tempo, sui temi ambientali sono stata in silenzio. Dal 16 ottobre dello scorso anno, direi, quando ho pubblicato l’articolo Erosione del suolo: cause e rimedi.

Ho riflettuto molto e volutamente. C’era da approfondire. C’era ancora da capire: cosa non tornava? Cosa non mi era chiara? Allora ho studiato, molto. Ho letto, molto. E soprattutto, ho letto le opinioni scientifiche di alcune menti eccelse: da quelle di Newton a quelle di Zichichi, da quelle di Rubbia a quelle della Hack e di altri ancora.

Esserne uscita sorpresa è dir poco.

Dunque è tempo di ricominciare a scrivere.

Di fronte a tante rivelazioni scientifiche, verrebbe da dire che la maggior parte delle informazioni stampate o via rete dovrebbero essere distrutte. Verrebbe da dire che la quasi totalità delle informazioni che partono dalle cattedre universitarie di geografia dovrebbero essere censurate e, con esse, i relativi portavoce.

E lo vedremo, viene sancita – ancora una volta, ben oltre quanto io stessa abbia affermato – l’illusorietà del Rapporto Brundtland. Una favola, utopica e ingannevole.

Ad esempio, dinanzi all’equazione matematica che sintetizza l’equilibrio del mondo e ne descrive l’evoluzione, crolla ogni possibilità di generare un’equazione riferita al clima. Troppi parametri liberi, fino al punto che occorrerebbero ben tre equazioni differenziali non lineari accoppiate. Vale a dire che esiste un tale livello di improvvisazione (fattori esterni non governabili, come i raggi cosmici) che non permette la costruzione di alcuna formula matematica esatta.

Invece, l’equazione del mondo – tradotta in grafica – ci dice perfino che tra un battito cardiaco e l’altro di ognuno di noi (come dice Zichichi) accade una tale infinità di cose da sbalordire. Cose che richiamano le forze universali, i movimenti planetari, gli equilibri delle galassie e altro ancora. Cose che determinano grandi modificazioni derivate perfino da minuscoli cambiamenti orbitali. Dinanzi a tanto, con coscienza e umiltà, dovremmo capire di essere nulla singolarmente. E dovremmo capire l’inganno della proclamazione di uno sviluppo sostenibile … che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri, la favola dell’Our common future.

Il tema poi del riscaldamento globale assume sfaccettature evolutive che lo discostano essenzialmente dai problemi ambientali e – probabilmente – perfino l’evoluzione climatologica deve essere scissa dall’inquinamento. Il primo è dovuto a processi naturali, il secondo ai disastri umani. E anche qui si apre uno scenario scientifico che richiama molta prudenza nell’associare i fenomeni. Cosa che invece viene comunemente fatta. Anche io ho pensato spesso – e ho scritto a riguardo in alcuni precedenti articoli – che le forze inquinanti fossero strettamente legate al riscaldamento globale.

Ricercare significa anche riesaminare ed eventualmente rivedere la propria conoscenza. È quello che sto facendo.

Per quanto abbia finora approfondito, alcuni elementi restano però fermi e avvalorati dalla scienza. Tra questi: i danni ambientali da inquinamento (con l’enorme responsabilità degli allevamenti intensivi, della deforestazione, della crescita urbana, eccetera) e la truffa degli strumenti di cattura delle energie cosiddette alternative. Dedicherò altri articoli all’approfondimento di questi drammi, consegnandomi alle parole degli scienziati veri.

Come potrei, a questo punto e a gran voce, non ribadire l’infondatezza dell’Accordo di Parigi? Scriverò anche su questo, più approfonditamente di quanto già fatto e supportata dagli studi delle grandi menti.

L’equazione “clima” non esiste. Il riscaldamento della crosta terrestre ha avuto oscillazioni continue nel corso dei Secoli. Potenti della Terra, credete di saper fronteggiare l’Universo?

Erosione del Suolo: cause e rimedi

Due anni fa, alla fine del 2015, l’Inghilterra (per voce dell’Università di Sheffield) sagacemente sottopone uno studio al Congresso sul clima di Parigi. Si tratta del Congresso che dà vita all’Accordo sul clima (rif. Articolo L’altra faccia dell’Accordo di Parigi).

È uno studio importante, serio nelle premesse (a mio giudizio, incompleto nell’individuazione delle cause e dei rimedi), circostanziato sulla problematica dell’erosione del suolo. Dopo tanto, mi chiedo come mai anche questo tema non sia stato neppure citato all’interno dell’Accordo, visto che si tratta di una tragedia planetaria e non soltanto britannica.

Ecco il dato riportato nello studio: in quarant’anni l’erosione ha distrutto un terzo dei terreni coltivabili e il fenomeno è in aumento.

Ecco le cause individuate: ripetute arature con continui movimenti del suolo (causa della dispersione delle sostanze organiche nell’atmosfera e conseguente indebolimento del terreno, con l’abbassamento della capacità di trattenere le acque e la conseguente riduzione delle crescite di piante), inquinamento, uso eccessivo della quantità di terra arata.

Ecco le soluzioni proposte nello studio: uso di fertilizzanti naturali, impiego di piante con minore bisogno di fertilizzanti, rotazione delle colture e conseguente riduzione delle arature (soluzione piuttosto complessa, visto che la produzione agricola è destinata ad aumentare del 50% in breve tempo, dato il previsto aumento vertiginoso della popolazione mondiale), parziale conversione dei terreni a pascolo (pari al 30% di quelli coltivabili).

Per quanto la proposta inglese sia stata sagace nell’incitare ad affrontare temi concreti, chiedo un attimo di riflessione. Perché basta un attimo per capire che manca la relazione con la più grande delle cause e, di conseguenza, manca la più concreta delle soluzioni.

Quali?

La principale causa, a mio giudizio (tratta dall’intersecazione dei dati ufficiali): gli allevamenti intensivi.

La principale soluzione, a mio giudizio: l’annientamento degli allevamenti intensivi, ovviamente, oltre la derivata contrazione dei bisogni effimeri urbani.

Perché affermo questo?

Chi ha letto il mio articolo Città, danno ambietale e allevamenti intensivi probabilmente già avrà capito a cosa mi riferisco.

Riprendo alcuni concetti: il 25% della superficie terrestre è occupata da allevamenti intensivi (dato in vertiginosa crescita); un terzo delle risorse idriche planetarie viene impiegato per gli allevamenti intensivi e il 70% dei cereali prodotti è destinato a questo drammatico e dannoso meccanismo alimentare. Esorto alla lettura del Meet Atlas redatto dalla Fondazione tedesca Heinrich Boll, per capire quali dimensioni abbia raggiunto il consumo di carne nel mondo e quali conseguenze si stanno subendo (devo dire, giustamente).

Nel solo anno 2016 sono stati prodotti 2.569 milioni di tonnellate di cereali (Fonte: FAO), di cui ben 1.798,3 sono stati riservati agli allevamenti intensivi. La coltivazione dei cereali richiede l’impiego del 46% (circa 750 milioni di ettari) di tutta la terra coltivabile. Ciò significa che il 32,2% della terra coltivata è asservita ai bisogni degli allevamenti intensivi. E significa che ben 525 milioni di ettari hanno la medesima destinazione.

In termini differenti, senza gli allevamenti intensivi la disponibilità di suolo agricolo aumenterebbe della componente pari al 25% delle terre emerse (quota dovuta all’occupazione degli stabilimenti) + 32,2% della terra coltivata (componente dovuta alle produzioni di cereali destinate agli allevamenti). Vale a dire che avremmo 37.250 + 5.250 = 42.500 migliaia di chilometri (circa il 30% della superficie terrestre) in più per vivere secondo Natura, abbattendo anche massicciamente l’inquinamento delle falde idriche.

Senza contare l’incidenza del consumo di acqua. L’ho detto: un solo chilo di carne bovina necessita dell’impiego di 15.000 litri. Vado oltre: la produzione annuale di carne ha superato i 300 milioni di tonnellate. Vale a dire che il relativo consumo di acqua si aggira intorno ai 4,5 miliardi di litri annui. Ne vogliamo parlare ancora? Non basta?

Abbiamo vissuto un’estate con una carenza d’acqua enorme, dalle grandi città ai piccoli paesi. Ed è ancora così. La capacità della terra, già compromessa, di trattenerne l’acqua piovana è poca o quasi nulla.

Fatto sta che la carenza d’acqua è diventato uno dei temi scottanti della contemporaneità.

Perché? Perché ai livelli di governo nessuno interseca dati reali e trae somme concrete? Nessuno trasferisce massicciamente le amare verità su quello che è il più grande dramma planetario, la cui risoluzione condurrebbe alla salvezza della terra.

Mi chiedo se i potenti si soffermino mai sulla vita dei loro stessi figli. Possibile che gli interessi economici siano più importanti?

Noi uomini, e solo noi, siamo macchine di distruzione di massa.

Infine, una curiosità: il rapporto inglese afferma che si sta procedendo verso la produzione di suolo adatto solo a edificare. Dovremmo essere contenti, noi architetti? Non scherziamo.

L’altra faccia dell’Accordo di Parigi

Qualche giorno fa, per strada, un uomo mi ha proposto l’acquisto di una copia di un giornale d’impronta religioso-profetica. Mi ha detto: Trump non ha firmato l’Accordo di Parigi, dunque il mondo sta per finire. Gli ho risposto: Ha letto l’Accordo? Mi ha detto di sì, ma quando gli ho chiesto quali erano, a suo vedere, i punti fondamentali in grado di salvare il mondo, non ha saputo dirmi nulla.

Ecco.

Ho letto e riletto molte volte l’Accordo di Parigi (o Accordo sul clima). Con molta franchezza, al di là delle posizioni di Trump – la cui politica non rientra nelle mie capacità di valutazione, se fossi stata un decisore, non so se l’avrei siglato.

foto di Gerd Altmann (pixbay)

Senza girarci troppo intorno, lo trovo carente, incompleto, più mirato a generare (come al solito) spazi e posizioni d’onore nel contesto internazionale che a definire linee chiare di impegno concreto degli Stati rispetto al più grande e preoccupante tema della contemporaneità: la sopravvivenza del Pianeta.

Nato il 12 dicembre del 2015 a Parigi, segue il Protocollo di Kyoto del 1997 al quale, nonostante tutte le possibili critiche, bisogna riconoscere una dose di maggiore concretezza nel definire obiettivi, metodi e metodologie d’azione.

Si compone di una premessa (o preambolo) e 29 articoli, la gran parte dei quali mirati a stabilire un ordine di rapporto tra i Paesi aderenti, con priorità sostanzialmente di tipo istituzionale, di controllo, di programmazione degli incontri, eccetera (è il caso degli Articoli 1, 14 – 29 e, per alcuni versi, il 3 e il 13).

L’Accordo distingue tra Paesi più avanzati, generatori di maggiori problemi, e Paesi meno avanzati o in via di sviluppo, maggiormente minacciati. Tutto ciò evitando di dire che i Paesi in via di sviluppo non sono solo minacciati, ma sono spesso generatori di altrettanti problemi ambientali: al di là delle responsabilità indigene, basti considerare le recenti deforestazioni in Africa.

Nel preambolo riprende il concetto di equità tra generazioni in tema di sostenibilità. Concetto che ritengo menzognero e strumentale, come ho già disquisito nell’articolo L’inganno della Sostenibilità (https://www.elodiarossi.it/linganno-della-sostenibilita/).

L’Art. 2 sembra avere un accento tanto imperativo quanto superficiale nel sostenere la necessità di mantenimento della temperatura media globale al di sotto dei 2 gradi centigradi. Intanto bisognerebbe capire cosa s’intende per temperatura media, visto che possibili sostanziali variazioni tra luoghi avrebbero gravissime ripercussioni sul pianeta e, quindi, su quella che lo stesso Accordo definisce resilienza climatica.

L’Art. 4 cade nell’onirico: bisogna ridurre le emissioni nel più breve tempo possibile, così da raggiungere un equilibrio entro il 2050. Bene, e come? Ogni Stato deve sviluppare le proprie strategie, linee comuni argomentate non ve ne sono (incredibile) se non per pochi sommari cenni in successivi articoli. Ciò che si ritiene invece importante è la comunicazione istituzionale dei dati (quali?), la raccolta di essi da parte della cosiddetta COP (Conferenza delle Parti) alla quale è demandato anche il compito di fare il punto della situazione a partire dal 2023 e con cadenza quinquennale (art. 14 e seguenti). Mi preme fare riferimento, a questo punto, al mio articolo Città, effetto serra e allevamenti intensivi (https://www.elodiarossi.it/effetto-serra-allevamenti-intensivi-e-bisogni-effimeri-urbani/), tanto per non tornare sull’increscioso e preoccupante tema dei tempi ormai a disposizione.

L’Art. 5 incita gli Stati al potenziamento dei pozzi di carbonio e delle riserve di gas serra. Qui, finalmente, si tratta l’importanza della salvaguardia delle foreste, anche se incredibilmente si dispongono incentivi economici di risultato (come se si dovesse raggiungere un traguardo attraverso un premio monetario e non per necessità di sopravvivenza globale). Non un solo cenno alle cause della deforestazione: non un cenno al dramma degli allevamenti intensivi, non uno alla spasmodica conurbazione. Eppure sono queste le vere cause.

Ma è l’Art. 7 che stabilisce l’obiettivo globale dell’Accordo: incrementare la capacità adattativa e rafforzare le resilienza per ridurre la vulnerabilità al cambiamento climatico, richiamando ancora una volta il concetto di Sviluppo Sostenibile (ancora inganno) e quello della cooperazione tra Paesi. Confesso che questo obiettivo mi fa venire i brividi. Difatti parrebbe ribaltare il problema: non più sradicare le cause del disagio planetario, piuttosto rafforzare la capacità di adattamento. Mi rifiuto di commentare.

L’Art. 8 esorta i Paesi sviluppati a fornire risorse finanziarie a quelli meno sviluppati, ai fini dell’applicazione dell’accordo. La gestione, in brevi linee, delle risorse finanziarie è materia dell’’Art. 9.

Eccoci all’Art. 10, uno dei più sorprendenti. Qui viene incoraggiata fortemente la gestione dello sviluppo tecnologico, come fosse la soluzione per la riduzione dei gas inquinanti (senza alcun riferimento al come). Mi concedo il richiamo a un altro mio articolo Architettura e ambiente: energie rinnovabili (https://www.elodiarossi.it/architettura-e-ambiente-energie-rinnovabili/), tanto per approfondire il tema di alcuni disastri ambientali dovuti alle tecnologie. Perché non affrontare questo argomento chiarendo (concretamente e non astrattamente) quale contributo potrebbe giungere da una corretta applicazione dei traguardi della tecnologia, se scissi dai troppi interessi economici anche a livello statale?

Finalmente – e ripeto, finalmente – l’Art. 11 e il 12 annunciano la necessità dell’educazione, della formazione e della consapevolezza pubblica. L’annuncio è breve, però, visto che gli articoli si dilungano sulla costruzione di competenze organizzate (dunque specialisti). Eppure qui è il vero nodo della questione: sollevare le coscienza di tutti, attraverso la conoscenza, perché tutti possano contribuire – lontani dal consumismo sfrenato, lontani dalle menzogne di un mercato distruttivo, lontani dall’idea di prevaricazione sulle altre specie, lontani dal concetto di un mondo fondato sull’egemonia dell’economia monetaria – alla salvezza del Pianeta.

Nell’Art. 12 si fa cenno anche al tema dell’accesso pubblico alle informazioni. Non si indica però alcun metodo affinché questo miraggio si trasformi in realtà. Né a che genere di informazioni ci si riferisca. Anche questo argomento mi indigna. Per reperire informazioni sulle condizioni ambientali della Terra, personalmente ho dovuto fare lunghe e attente ricerche, ho dovuto impiegare molto tempo (e continuerò a farlo). Eppure si tratta di dati che provengono proprio da fonti istituzionali (in primo luogo le Nazioni Unite), da me utilizzati in molti articoli di questo blog. Perché le Istituzioni che sviluppano questi generi di dati senza attivare campagne di comunicazione e informazione diffusa, poi sottoscrivono un tale accordo? E perché, dopo la sottoscrizione, non si impegnano nella diffusione?

Mi chiedo quali siano le effettive volontà dei redattori. Mi chiedo come mai non vengano citati dati e argomenti che farebbero la differenza. Mi chiedo come mai non si parla dei veri grandi problemi (un esempio prioritario è quello degli allevamenti intensivi, un altro è la spasmodica crescita urbana: ma l’ho già detto) e non si diano indicazioni concrete, realistiche, convincenti, per fronteggiarli. Mi chiedo come mai non si ponga l’accento soprattutto e diffusamente (determinando le giuste strategie) sul primo strumento di salvezza che è la conoscenza, l’informazione di massa, il coinvolgimento massiccio delle popolazioni a qualsiasi livello d’istruzione: perché qui è il vero nodo. Mi chiedo infine quali interessi ci siano da salvaguardare.

Insomma, perché io cittadina dovrei sentirmi rincuorata da questo genere di Accordo?

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