Elodia Rossi

Arredamento d’arte e travi spaziali

Sono sempre stata convinta che i rapporti intensi generano similitudini di passioni. Tanto più quando questi rapporti si sviluppano in famiglia. È il brillante caso di Roberta Ventrella e di suo padre Ettore.

Difficilmente un figlio riesce a eguagliare un padre, soprattutto nei campi dell’arte. Basti osservare la schiera di attori figli di grandi attori, per rendersene conto. Ma esistono le pochissime, dovute eccezioni.

Ettore Ventrella è un collega, un architetto, con la passione per le travature reticolari spaziali. È un vero esperto, l’inventore di un sistema denominato Vestrut che ha dato vita a molte importanti applicazioni. È autore di una bellissima e colta pubblicazione Strutture Reticolari Spaziali tra Architettura e Tecnologia (Clean Edizioni, 2006) che consiglio a chiunque abbia interesse – come me – per questi meravigliosi, utilissimi e versatili impianti.

Roberta ha dunque respirato quest’aria di passione e l’ha evidentemente condivisa. E, intelligente e motivata qual è, ha applicato le sue conoscenze in un differente campo: l’arredamento.

Lo scorso 11 maggio c’è stato un incontro a Roma, in via Margutta, per l’inaugurazione di uno show room (il Margutta Home), un gradevole spazio espositivo per oggetti d’arte. In questa occasione, Roberta ha presentato una sua opera: l’Onda Selframes. Non ho potuto essere presente, così ieri l’altro sono andata a vederla. Era lì, sospesa al soffitto, energica e attraente.

Eccola: benché la mia foto non renda ad essa il giusto merito, posso garantire che si tratta di una bellissima struttura reticolare spaziale d’arredo, la cui sinuosità certamente fa riflettere a lungo. Perché non è facile articolare a forma di onda questo genere di impianto. Quindi, è senza dubbio derivata da uno studio attento di rapporti tra aste e nodi, di relazioni tra forma e materiale (acciaio, naturalmente): brillante e sapiente traduzione di compositi funzionali in espressione artistica.

L’arte contemporanea ha spesso mortificato la tecnica. Anche qui – come in architettura – andrebbe fatta una distinzione tra arte vera ed espressioni, talvolta arroganti, che ne avviliscono i capisaldi. L’opera di Roberta è fatta di idea (fondamentale avvio alla creazione) e tecnica, ossia studio, ricerca, elaborazione.

Io credo che l’arte debba avere la capacità di esercitare la mente, inducendo alla riflessione. Come nel caso di questa giovane e promettente artista.

L’incubo del lamellare

Per sintesi ho titolato questo articolo L’incubo del lamellare, ma un titolo più corretto e coerente sarebbe L’incubo di come generalmente viene usato il legno lamellare in Italia.

Chiarisco. Il legno lamellare, materiale di nuova generazione, è un prodotto composito che viene realizzato attraverso l’incollaggio a pressione di tavolati lignei, dopo averli sottoposti a processi tecnologici che ne migliorano alcune qualità, come il rapporto tra resistenza meccanica/peso e la resistenza al fuoco. Però, al contrario di affermazioni che trovo errate, le qualità estetiche del materiale puro vengono alterate. I processi di invecchiamento, che donano al legno un fascino particolare, per il lamellare non producono i medesimi risultati, né l’aspetto estetico iniziale può paragonarsi in tutto a quello del materiale d’origine.

Ciò non significa che il lamellare non possa (o debba) avere uno spazio di riguardo nel panorama odierno dell’edilizia e dell’ingegneria. Anzi. Ma ciò che fa la differenza è proprio il modo con cui viene impiegato. Per le caratteristiche proprie di contemporaneità, il lamellare dovrebbe essere utilizzato in ambienti innovativi e con tecniche estetiche altrettanto innovative. Purtroppo, come spesso capita per gli usi impropri di altri materiali di nuova generazione, soprattutto in Italia, l’utilizzo del lamellare viene relegato alla creazione di capriate e sovrastanti coperture, più o meno articolate, in mera sostituzione delle travi lignee. O anche alla creazione di portici e porticati massicci e grossolani, con travi fuoruscenti  di sproporzionata sezione: inqualificabile ostentazione priva di idea formale ragionata. E ciò accade in ogni dove, perfino in ambienti vallivi o in quei rari luoghi ancora caratterizzati da architetture consapevoli, iniziandone così la devastazione. Si persevera nell’inquietante ambito della finzione. E piace talmente fingere che, come un virus dilagante, l’uso scorretto del lamellare si propaga senza tregua, definendo scenari ambientali di cattivo gusto e interni aberranti.

Ovviamente e proprio per via della simulazione, il risultato è perlomeno mediocre. Basti – ad esempio – confrontare una copertura con capriate naturali e una, analoga, con lamellare. L’evidenza è disarmante.

Invece, in altri luoghi del mondo, il lamellare sta riscuotendo il giusto successo attraverso utilizzi d’avanguardia e idee architettoniche vincenti. Personalmente, ho avuto modo di vedere a New York (e non solo) impieghi entusiasmanti: come per i casi di coperture ricurve di grande impatto estetico. D’altro canto una delle caratteristiche di questo materiale è la straordinaria possibilità di sagomatura. A titolo esemplificativo, l’involucro dell’ambiente australiano che si trova sul sito http://www.buildingecosystems.com non è forse affascinante e innovativo?

Poi, senza arrivare all’esame dello splendido progetto di uno stadio totalmente ligneo, opera di Zaha Hadid, dove il lamellare esplode nelle sue vere qualità e, date le forme architettoniche, anche nella sua esuberante essenza estetica, basterebbe dare uno sguardo ad altre felici applicazioni (e ce ne sono davvero molte) di grande ispirazione per l’architettura abitativa. È il caso, tra gli altri, del Live Oak Bank Headquarters in Wilmington, quartiere progettato dallo studio LS3P Associates, dove legno naturale e lamellare si uniscono per dar vita a unità abitative esteticamente caratterizzate da un interessante effetto cadenzato, rafforzato dalle ampie vetrate.

Impieghiamo quindi il lamellare nelle corrette modalità, evitando grossolane imitazioni e studiandone le potenzialità e la versatilità, anche ricercando forme innovative, così da perseguire veri risultati architettonici adeguati alla contemporaneità.

Nuovi materiali per rivestimenti

I materiali per rivestimenti di nuova generazione non si discostano molto da quelli per le pavimentazioni (Rif. Articolo Nuovi Materiali per pavimentazioni).

A scanso di ogni equivoco, voglio chiarire che quando parlo di nuovi materiali mi riferisco esclusivamente a quelli che posseggono innovazione sia di risultato che di processo. A titolo esemplificativo, intendo dire che le innovazioni introdotte nel processo produttivo delle ceramiche per piastrellature, mirate al miglioramento di proprietà intrinseche del prodotto (qualità, durevolezza, eccetera), il cui risultato visivo non si discosta considerevolmente da quello tradizionale (o addirittura mira alla simulazione di altri materiali come il cotto, il parquet, il marmo), non sono qui considerate. L’innovazione, quella vera, dal mio punto di vista è massificante. D’altro canto e per un architetto, il risultato visivo – vale a dire l’estetica – non può essere relegata né alla finzione, né alla ripetizione.

Anche per i rivestimenti, ciò su cui voglio soffermarmi è l’impiego delle resine, del microcemento e – ancora timidamente – della ceramica liquida.

L’impiego della resina, utilizzata da maggior tempo rispetto ai microcementi, richiede alcune attenzioni. Difatti, benché sia un prodotto molto interessante, è spesso abusato in modo piuttosto pacchiano. Sarà capitato a tutti di vedere negozi, uffici, ambienti domestici dove la resina sprigiona irrazionali risultati estetici. Andrebbe, io credo, messo un po’ d’ordine, evitando eccessive stranezze la cui percezione finale riconduce al chiasso e non al fascino. Anche per le resine, particolarmente interessanti sono gli ambienti interamente rivestiti: in questo caso si parla esclusivamente di bagni e cucine, data la proprietà di schermo alla traspirazione del prodotto, qualità pericolosa per altre ambientazioni. E va ricordato che anche lavelli, vasche da bagno, vani doccia possono essere trattati in egual misura.

Trovo che un vano completamente rivestito in microcemento, inclusa la pavimentazione, possegga grande fascino. Naturalmente mi riferisco ad ambienti che vanno studiati da un architetto o da un designer, ai quali conferire una certa dose di innovazione progettuale. Interessante è l’utilizzo del microcemento abbinato ai cristalli per partizioni interne e per altri accorgimenti, evitando di appesantire gli ambienti con eccessivi oggetti di arredamento. Suggerirei esclusivamente (ed eventualmente) qualche pezzo di design. Per queste scelte, sono privilegiate le stanze da bagno e le cucine, ma anche altri locali di tendenza inseriti in contesti adeguati. Il microcemento è più intenso e affascinante se non alterato nel colore oppure, in alcuni casi, addizionato di coloranti tendenti al tortora. Anche rivestire vasche da bagno, lavelli, vani doccia è possibile, purché si adottino corretti accorgimenti per la finitura protettiva.

Propongo di esaminare un’immagine sul sito che si trova al link http://todosobreelmicrocemento.blogspot.it,. Mostra un ambiente moderno trattato con microcemento sia nella pavimentazione che nei rivestimenti. Trovo che sia incantevole.

Una nota interessante riguarda l’utilizzo della ceramica liquida per i rivestimenti. Qui si cede inevitabilmente al campo dell’arte pittorica e di quella scultorea, visto che il prodotto è il medesimo (da distinguere da quello per pavimentazioni). Vale a dire che l’idea di rivestire interamente un vano – o una parete – di ceramica liquida è ancora improponibile. Ne risulterebbero, in breve tempo, fratture capillari occasionali e molteplici. Quello che è possibile fare, invece, è decorare le pareti per parti limitate e proteggere l’insieme con finiture resinoso/vitree. Soltanto artisti veri saprebbero ottenere risultati soddisfacenti. Attenzione, dunque, alle improvvisazioni. Il rischio è elevato.

Nuovi materiali per pavimenti

Gli scenari offerti dai nuovi materiali per pavimentazioni aprono orizzonti davvero straordinari. Le proposte sono varie, la ricerca va avanti, l’impiego di tecnologie innovative nelle produzioni allarga gli orizzonti dell’architettura.

Intendo soffermarmi su due tipologie di nuovi materiali per pavimentazioni. La prima, un po’ meno recente, è quella delle resine. L’altra, più recente e – dal mio punto di vista – più affascinante, è quella dei microcementi.

Si tratta di tipologie in qualche modo sorelle, sia per le modalità applicative, sia per alcuni aspetti riguardanti il risultato.

La resina, già di largo utilizzo per le pavimentazioni d’interni (e non solo), è un prodotto versatile e facile da impiegare. Si trova in commercio in differenti forme: dalla bicomponente (generalmente più resistente) alla monocomponente, nei diversi colori e tinte, trasparente oppure opaca, da dare a film o anche a spessore (autolivellante), a spatola o a rullo. Tutto dipende dall’effetto che si vuole ottenere. Possiede ottime qualità di impermeabilizzazione e resistenza all’usura. Tuttavia il suo impiego andrebbe limitato a condizioni strutturali e architettoniche favorevoli ed esclusivamente contemporanee.

Con le resine possono conseguirsi risultati d’autore. Basti pensare a quelle trasparenti che conformano lastre uniche sotto cui poter conservare (e lasciar ammirare) composizioni pittoriche, oggetti bidimensionali e perfino tridimensionali a basso spessore.

Il microcemento, recente frontiera della ricerca tramite le nanotecnologie, possiede caratteristiche tecniche ed estetiche che trovo più soddisfacenti. Innanzi tutto, essendo derivazione di un materiale non idrorepellente, conserva proprietà di traspirazione che non vanno sottovalutate in taluni impieghi. Trattenere l’umidità creando schermi a pavimento così da non permetterne la risalita è spesso un’azione dannosa.

Il risultato che si può ottenere con l’impiego del microcemento raggiunge un fascino particolare, perfino adattabile a differenti condizioni stilistiche: qualità rara che non appartiene alle resine. Ad esempio, in casi di assenza o estremo deterioramento di pavimentazioni in ambienti storici, laddove non è più possibile procedere tramite restauri, il microcemento può costituire una soluzione d’eccellenza. Utilizzato in forma pura, senza colorazioni o alterazioni della superficie, esprime un efficace contrasto con le preesistenze: non è invadente né fuori luogo, appare neutro ed elegante allo stesso tempo.

Ed è proprio la forma pura del microcemento che trovo particolarmente interessante (e affascinante) nell’uso per pavimenti: lastre uniche dal grigio tipico del materiale di derivazione. Le alterazioni, tramite colorazioni o effetti da applicazione, ne mortificano l’essenza fino a renderlo indistinguibile – agli occhi non esperti – dalle resine.

Resine e microcementi sono di facile applicazione, tanto da potersi cimentare anche in proprio nel caso di ambienti regolari, ben livellati, senza particolari imperfezioni e senza bisogno di rimuovere l’eventuale vecchia pavimentazione. Bisogna ricordare che, ad esempio, nel colare prodotti autolivellanti, questi tendono ovviamente a mantenere la quota superiore uniforme.

Se si volesse provare, suggerirei di impiegare il prodotto ottenibile tramite questo link  http://amzn.to/2lmWU9M: un microcemento bicomponente.

Resine o microcemento, a seconda dei casi, a seconda degli ambienti, a seconda delle aspettative. Ma mai per simulare altri tipi di pavimentazioni: finti parquet, finti cotti, finti marmi e via dicendo. Sebbene siano pratiche di largo uso, le trovo squalificanti, oltre che ridicole.

Non ho volutamente parlato delle pavimentazioni liquide in poliuretano, né di resine destinate a pavimentazioni di altro tipo (industriali, per esterni, eccetera). È un tema differente.

Né ho parlato di quella nuova generazione di pavimenti che utilizzano rame, bronzo, alluminio per realizzare piastrelle. Non mi piacciono.

Invece accenno brevemente alla ceramica liquida, un prodotto già impiegato il campo artistico che sta prendendo piede anche in ambito edile. Finora disponibile per fughe (produttore Kerakoll), con qualche sommessa proposta per pavimentazioni continue, è oggetto di ricerca d’avanguardia. Mi aspetto gradevoli sorprese.

Materiali da costruzione

Dopo aver parlato del Progetto Architettonico (all’interno della sub categoria “per futuri architetti”) e delle relative modalità di definizione – ossia dall’idea al progetto compiuto – introduco una nuova serie di articoli sul tema dei materiali da costruzione. Si tratta di consigli rivolti a tutti, relativi all’impiego di materiali destinati alle finiture e agli isolamenti, partendo da quelli di nuova generazione. Più avanti tratterò anche alcuni materiali che chiamerò nobili, ossia puri e derivati direttamente dalla natura, come marmi e pietre più o meno dure.

Il mio approccio al tema sarà quello di suggerirne il corretto utilizzo, oltre spiegarne brevemente le caratteristiche, sperando di contribuire a evitarne usi impropri e inadatti alla contemporaneità.

Le nuove frontiere dei materiali edili per finitura (e non solo) sono davvero molto vaste e particolarmente interessanti. Purtroppo però vengono frequentemente adoperati per simulazioni di materiali nobili, cosa davvero sorprendente e inefficace anche dal punto di vista del risultato. Questo vale tanto per l’immediatezza quanto per il divenire. Si dice che il tempo è galantuomo: nulla di più vero per casi del genere. I materiali nobili, quelli autentici, subiscono l’età che, per certi versi, li rende straordinari e ineguagliabili. Non è lo stesso per quelli di nuova generazione. Il loro valore ha mete differenti e altrettanto importanti.

E che pensare dei finti invecchiamenti? L’ho già detto in precedenza (Rif. Articolo Architettura Contraddetta): non c’è niente di più squallido della finzione. Evitiamola.

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