Eloda Rossi blog

DELIRIO DA UN TRENO (RACCONTO BREVE)

E’ da un treno che ti scrivo, questa volta.

Corre veloce. Corre verso te.

Stai attenta, non è come le altre volte. Non farti illusioni. Stavolta andrò via.

Maledetta!

Avere un rapporto con te è quanto di più difficile possa capitare ad un essere umano. Sei volgare, a volte. A volte sei spietata. Irraggiungibile. Incomprensibile. Fuorviante. Deviante. Sfrontata. Quanti volti hai? Mille o uno soltanto? Dipende da come ti si guarda. Già, non c’è dubbio: il tuo lato migliore è quello meno evidente. Non perché sia davvero migliore: solo perché con esso esprimi una sincerità distruttiva e dichiari la tua identità. Mostruosa.

Inquietante. Devastante.

Se ti si guarda in faccia, di fronte e senza indagare troppo, è vero, sei bellissima. Mio Dio, quanto sei bella! Incantevole, addirittura.

Straordinaria.

Nessuna, credimi, nessun’altra è come te. E chiunque t’ha vista, lo sa. Ogni centimetro quadrato del tuo corpo, della parte più evidente del tuo corpo, è un’invenzione sublime. Un tassello d’un mosaico praticamente perfetto.

Strega. Fata.

M’hai rapito. M’hai ammaliato. Potessi tornare indietro! Potessi tornare vent’anni indietro, no, non accadrebbe mai più. Non mi farei rapire dal tuo fascino. Non mi farei coinvolgere dalle tue ingannevoli apparenze. Non mi farei ammaliare da quella parte manifesta del tuo corpo scultoreo. Né dalla tua essenza. Starei attento, ti schiverei. Starei lontano da te. Neanche per un solo attimo mi farei coinvolgere. Perché ormai ho la certezza che un solo attimo basterebbe a rapirmi, a stregarmi, a uccidermi. Tu ci sai fare. E un attimo o vent’anni ti sono sufficienti a distruggere un’esistenza.

Il modo per evitare questo è uno soltanto: non conoscerti. Starti lontano. Beato chi non ha mai avuto la possibilità d’incontrarti.

Eppure c’è tanta di quella gente che ti ha vista sui giornali, in televisione, perfino di sfuggita e vorrebbe incontrarti. Tanta gente che ha saputo di te, pensa di conoscerti. Molti sono appassionati della tua vita, affascinati dalla tua bellezza. Non sanno che l’apparente limitazione del non essersi imbattuti in te è invece una grande fortuna, una salvezza. E questo concetto lo griderò al mondo, a tutti, d’ogni razza e provenienza. Belli e brutti, giovani e vecchi, grandi e bambini. Tanto per te non c’è differenza. Chiunque ti capita a segno, colpisci.

Demonio, sei un demonio.

Eccome se ho provato a starti lontano! Non mentire. Non puoi pensare, neppure per un istante, che non sia andata così. Purtroppo però, t’avevo già conosciuta e, dal primo momento, t’avevo amata.

Ma questa volta, vedrai, ce la farò.

La tua indole narcisista non vorrebbe accordare a nessuno di sfuggirti, una volta abilmente incantato. Ma posso farcela. Devo farcela.

Non ci sono mai riuscito finora, è vero. Ti odio per questo. Ma le cose cambiano e nella vita, presto o tardi, ci si può aspettare di tutto. Questo vale anche per te. Vedrai.

Ti odio e ti amo. E non so quale dei due sentimenti sia più forte. Per la verità, non so neppure se si tratta di amore o, semplicemente, di ossessione.

Se ripenso alle lunghe giornate passate insieme, agli anni vissuti insieme, alle passeggiate lungo il fiume, alle frenetiche e divertenti serate, alle atmosfere magiche di certi momenti, alle notti estive all’aperto, alla confusione della gente che incontravamo e che bramava al desiderio di conoscerti meglio, alle stravaganti cene in tante case di lusso, alle risate nelle spartane trattorie, ai caffè nei circoli, ai brindisi nelle vinerie, agli incontri con attori e registi sui set, ai concerti, ai confronti culturali e a tanto altro ancora, allora ti adoro. Ricordi quel tramonto di primavera che ornava le passeggiate lungo il fiume? Che colori, che riflessi sull’acqua, che piacevole temperatura. Sembrava un paesaggio irreale: io e te, apparentemente soli, fortemente legati da un sentimento straordinario, non umano. Sublime, direi divino.

Se poi ripenso al dolore che ho vissuto con te, alle umiliazioni per essere uno dei tanti, alla cattiveria che mi si è presentata davanti in tanti momenti, alla disperazione che ho visto negli occhi di molti, alla confusione che hai creato nella mia mente, allo straziante modo con cui ti prendi gioco degli altri, alle tue promesse mai mantenute, alla tua ostilità nascosta da quel volto fiabesco, allora ti disprezzo. Ricorderai, spero, quella sera quando dovevo tornare a casa. Era molto tardi. Tu mi lasciasti solo, su quella maledetta strada di periferia ad aspettare un autobus che non arrivava mai. C’era poca luce, il lampione più vicino era abbastanza distante da non permettermi di vedere neppure l’orologio. Non un taxi in giro. E nelle vicinanze, ti ricordi chi c’era? Mio Dio! Ceffi da fare paura. Mi hanno derubato. Me la sono cavata col portafoglio. E mi è andata bene, non c’erano molti soldi. Se si fossero accorti di cosa avevo nel taschino, sai che festa. D’altro canto, che potevo fare? Allontanarmi? Per andare dove? Quanto tempo sarà passato, prima che arrivasse l’autobus? Due ore? E tu, intanto, te la ridevi. Sdraiata, comoda, spettatrice indomabile.

E ti ricordi come mi trattasti quell’altra volta? Quella volta che sono fuggito lontano da te, trasferendomi, fortemente deciso a tanto. Si, quella volta che ebbi la forza di cercare un nuovo amore, un universo diverso, più sincero, per tentare di vivere. Vivere. T’è bastato un attimo, un solo attimo, per farmi tornare indietro.

Smettila! Non è vero, lo sai, che avrei potuto evitare d’incontrarti. Da te avevo ancora tutte le mie cose. Cose troppo personali perché qualcuno potesse passare a prenderle al posto mio. Così non ho potuto fare altro che tornare. Mi ero messo in testa di non guardarti in faccia. Ho provato a farlo. Te lo ricordi? Sono entrato col capo reclinato. Con gli occhi socchiusi. Cercavo di non guardare neppure i miei passi. Tu, perfida, ne hai approfittato. Ho sbattuto il muso davanti a un muro e, tanto inevitabilmente quanto irrazionalmente, ho dovuto spalancare gli occhi. E tu, pronta, eri lì ad aspettarmi. Maledetta. Non ebbi il coraggio di portare via nulla e ti adulai, ancora, più forte che mai. Percepii e toccai ogni centimetro di te e, ancora, m’innamorai.

Quanto dolore tra le tue braccia! Nessuno è crudele come te.

E quanto amore! Nessuno è bello e affascinante quanto te. Sei una morsa. Una morsa d’acciaio, dalla quale è quasi impossibile liberarsi.

Paradossalmente, l’unica consolazione è che non sono solo. Tu fai così con tutti. E tutti, inevitabilmente, ci cascano.

Però non credere che queste riflessioni mi stiano portando ad abbandonare l’idea di liberarmi di te. Almeno questa forma di rispetto me la devi. Sono deciso e capace. Sono caparbio e ci proverò ancora: è quello che sto facendo. Mai sono stato così determinato.

Non mi fai paura. Almeno credo. No, non mi fai paura.

Comunque non mi va di parlarti. Preferisco scriverti da lontano, usando prudenza, perché tu non abbia alcuna possibilità di coinvolgermi e distrarmi, incantevole assassina!

Vedrai, mia cara assassina, questa è la volta buona.

Corre il mio treno. Corre. Corre per abbreviare la mia sofferenza.

Un pomeriggio di sofferenza, di grande dolore, è questo. L’ho detto, purtroppo sono costretto a tornare. Come al solito, devo tornare. Come al solito, devo raccattare le mie cose. E lo devo fare, perché non ho intenzione di lasciarti un solo ricordo di me. Nulla deve più legarci. Porterò via tutto.

Fuggirò per sempre.

Vedrai, a nulla varrà che io dovrò guardarti. Perché ci sarai. So bene che ci sarai, pronta a tentare di sconfiggermi ancora. Ma non ti osserverò, per nulla al mondo ti osserverò. Ti guarderò appena, forse, ma non ti osserverò. E c’è una grande differenza tra guardare e osservare. Ho meditato a lungo e adesso so come sconfiggere il tuo fascino.

No, mia cara, non credere che i ricordi mi mangeranno il cuore. Non pensarlo neppure per un istante. Non mi vedrai più, dopo questo ultimo viaggio, mai più.

Infida! Traditrice.

Quanta gente hai distrutto? Quanti come me hai stregato? O credi che non sappia quanti rapporti hai? In questi vent’anni, dimmi, in questi vent’anni durante i quali il mio cuore ha palpitato per te, quanti rapporti hai avuto? E quante vittime hai mietuto? Vittime, questo sono, vittime come me. Strano a dirsi: non sento per loro rincrescimento o amarezza, né disprezzo da gelosia. Sento dolore, compassione, solidarietà.

Tu confondi. A volte sembri avere la saggezza di Seneca. A volte, la cattiveria di Caligola. Altre volte, ahimè!, sei perfino scellerata. Ma sei bella. Straordinariamente bella. Maledettamente bella!

A dirla tutta e ad un’analisi approfondita, non superficiale, per certi versi sei anche apparenza. Ci sono delle parti strazianti di te: in particolare le estremità, quelle che tenti di nascondere a chi non ti conosce bene e rimane affascinato dal tuo lustro, dallo splendore che manifesti nel tuo insieme. Bisognerebbe riflettere, molto. Bisognerebbe avere il coraggio di guardarti bene, in ogni angolo del tuo corpo. Così soltanto emerge la tua immensa dicotomia tra l’essere e l’apparire. Già essere o apparire? Quanto sei e quanto appari? Mia cara, come vedi so demolirti e adesso non mi inganni più. Io ti conosco davvero, tutta.

Sono quasi arrivato. Ci metterò poco. Non ho voglia di stare da te. Farò tutto in fretta, te l’ho già detto. Con tanta fretta, vedrai. Vedrai, non avrò neppure il tempo di parlarti. Perché ti ho sempre parlato, nei miei lunghi monologhi. E la tua presunzione non ti consente di dare risposte, in nessun modo. Pensi di stare al di sopra di tutti e non ti degni di offrire nulla: accoglienza, conforto, sicurezza. Mai nulla di tutto questo.

Mettitelo bene in testa dunque, questa volta non avrò tempo e voglia di guardarti. Sarò sfuggevole. Sarò senza pietà. Ti lascerò questa lettera in un angolo.

Non provare a confondermi con i tuoi infiniti volti, ambiziosa trasformista. Non m’inganni, non puoi più ingannarmi, ormai.

Farò tutto in fretta. Prenderò le mie cose e ti lascerò. Ti lascerò subito. Dopo sarà tutto più bello, lo so. Ritornerà la pace e l’ambizione di una vita serena diventerà realtà.

Devo superare questo momento, a tutti i costi. È questione di vivere o morire. È sempre stato difficile superare questo momento, impossibile finora. Del successivo non mi preoccupo. Non ci sarà nulla di difficile, dopo. Io lo so.

Sono davvero quasi arrivato. Corre questo treno. Corre.

Tu sei lì, ad aspettarmi, pronta. Ne sono certo.

Ma non cercare di… smettila. Lasciami stare, ti prego. Lasciami andare. Io voglio vivere. Ho bisogno di vivere! Ho bisogno di una storia nuova, di una realtà nuova, di una nuova vita.

(…………………)

La testa mi fa male. Ho un dolore acuto alle tempie. Mi confonde.

Stupido. Sono uno stupido. Come posso, anche per un solo attimo, pensare di chiedere aiuto a te? A te, che non me ne darai. Non vuoi. Forse, non puoi perfino. Tu sei nata così. Sei nata per essere così. Non cambi mai. Il tempo passa, inesorabile per molti, ma non per te. Non per quella parte di te che conforma la tua grande bellezza e, insieme, una smisurata apparenza.

Mio Dio! Già ti intravedo. L’importante è che non ti osservi. No, non devo osservarti. Adesso penso che non devo neppure guardarti, perché temo che questo possa aprire le porte all’osservazione. E io non posso farlo.

Non devo.

Ci sto provando. Ma c’è qualcosa, non capisco, qualcosa che mi ostacola. Intravederti, forse, è già abbastanza per rimanere intrappolato? Come si fa? Sei bella. Mio Dio, meravigliosa!

Un fascino che non capisco, non è di questo mondo. E’ drammaticamente forte e tragicamente surreale. Sarà anche per questo tuo inconfondibile odore. Inebriante. Al punto da non comprendere se rassomiglia a un puzzo. Un puzzo che inebria, confonde, rapisce. Come l’odore intenso di qualcosa che ti appartiene, a cui sei abituato fin da piccolo e la cui mancanza potrebbe significare l’apertura al disorientamento. Un odore inconfondibile. Tuo. Esclusivamente tuo.

Non riesco a non metterti gli occhi addosso. Non ci riesco!

Aiutami, non voglio caderci ancora.

Com’è possibile che la mia ostinata caparbietà, quella caparbietà che tutti mi rinfacciano, si sgretoli al tuo cospetto? Possibile che sia tu, soltanto tu, l’elemento di fragilità del mio essere?

Non farmi questo. Comprendimi, devo liberarmi di te. Abbi pietà, per una volta.

Cosa sarà mai per una come te fare a meno d’un essere piccolo, inutile, insignificante. Cosa sarà mai per te! Oppure proprio la mia testardaggine costituisce il motivo che ti spinge a tradirmi ancora? Mi sfidi, sei crudele e vuoi dimostrare la tua immensa potenza.

Dammi la mia libertà, ti prego!

Parlo, scrivo e tu non mi ascolti. Sei una dea di cristallo, impassibile.

Non mi ascolti, non ascolti le mie preghiere, non dai spazio alle mie aspirazioni, ai miei desideri, alla mia vita. Non confermi la mia capacità di ostinazione, quella che mi ha fatto sperare, ancora una volta, di potercela fare. Di poterti affrontare.

Altrimenti, perché fai questo?

Ho appena alzato gli occhi verso te, solo per capire se stavo arrivando, e non ho più la forza di chiuderli. Dio, sei bellissima! Anche così lontana, mi incanti.

Il cuore mi sale in gola. La mente mi si annebbia.

La verità, forse l’unica verità che trascende ogni possibile ragionevolezza, che supera ogni mia ostinazione, è che t’amo e non posso farne a meno. Non c’è niente da fare. Tu sei il mio tallone d’Achille. Sei la mia morte e la mia resurrezione.

Ti vedo adesso, ti vedo bene. Ormai sono da te. E non ho armi per poterti dire addio.

So che sono ridicolo, ma adesso non voglio più andare via. Percepisco quell’attrazione che mi fa lasciare alle spalle ogni giornata oscura e mi apre alla speranza d’una vita migliore, insieme a te. Restano vivi i ricordi soavi e, per quanto mi sforzi, ora nella mia mente non c’è altro.

Sai, vederti, odorarti … Oggi, poi, a quest’ora, sotto il sole scuro alle soglie del crepuscolo. I colori, che colori! I tuoi colori.

Non ti lascerò. Non ti lascerò mai. Magica. Incantevole strega.

Io ti desidero, mia Roma.

 

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