Elodia Rossi

Architettura ed Estetica

Questa mattina, sulla pagina Ordine degli Architetti di Facebook, un collega – l’architetto Salvo Cimino – ha girato un post derivato dalla sua interessante pagina personale Cimino Design Studio. Consiglio di leggerne i contenuti.

Il post tratta dei concetti di bellezza, di proporzioni, di estetica e, in un certo senso, di etica. Il tema è affrontato relazionando tre volti femminili, due dei quali noti al mondo: quello di Julia Roberts e quello di Ingrid Bergman. Il terzo volto è rappresentativo delle proporzioni ideali. Eppure, ne esce perdente. Da tale acuto spunto, il collega Cimino passa ai temi dell’architettura e, con lucidità, affronta un concetto che, a mio parere, apre le porte al vero e attuale dibattito sull’estetica e l’etica delle forme architettoniche.

Ho commentato il post con una nozione, la cui paternità si deve al maestro Giorgio Albertazzi, secondo cui la bellezza è l’armonia delle imperfezioni.

Etica ed estetica, fonti privilegiate del pensiero filosofico d’ogni tempo, appartengono strettamente all’architettura. Ed è vero che l’estetica ha preso il sopravvento nell’animo dei maestri della contemporaneità, le cui esternazioni risultano spesso prive di personalizzazione. O meglio, la personalizzazione resta in capo all’autore, penalizzando il committente (colui che vivrà l’ambiente) della sua storia, del suo essere, della sua consuetudine di vita. Concetto che trova terreno fertile soprattutto nel campo dell’edilizia privata. È qui che ogni buon architetto deve individuare la giusta mediazione, esercitando la capacità di esaltazione dell’idea, senza disattenzione delle aspettative altrui.

Per gli ambiti monumentali e pubblici, il discorso possiede altre prerogative: i beni comuni, i bisogni collettivi, luoghi nei quali il rapporto forma/funzione si dilata.

Nel caso dell’edilizia privata, credo che bisogna osservare l’opera di alcuni maestri con una giusta dose di distacco, nell’intenzione di comprenderne gli elementi di innovazione, quali risultati di percorsi di ricerca formali. Un po’ come alcuni degli abiti di alta moda che vengono fatti transitare sulle passerelle, ma che nessuno indosserà mai.

Il concetto della relatività temporale della bellezza mi stimola molto. E coincide con quanto ho sostenuto e sostengo in questo blog. Non c’è architettura fin quando si emula il passato. La Roberts, con tutte le sue imperfezioni, è un’icona della bellezza di oggi. La Bergman, benché più armonica, è icona della bellezza di altri tempi.

Forse non sono spettacolari alcuni edifici rinascimentali? Lo sarebbero altrettanto se fossero edificati oggi? Passato e presente, ognuno col ruolo che vi si deve, per la costruzione del futuro (Rif. articolo Passato e Futuro).

I canoni della bellezza (dell’estetica architettonica) necessitano di riferimenti, sia assoluti che temporali. Al di là dei gusti del singolo, derivazioni di percorsi culturali personali, è necessario che siano individuati elementi superiori, in grado di orientare e caratterizzare la contemporaneità architettonica. Un bisogno, questo, percepito in ogni epoca, fin dall’intramontabile Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci. Più vicini nel tempo, tornano alla mente i cinque punti della nuova architettura di Le Corbusier, poi distorti da adattamenti infelici. Ritorna il tema della necessità di una formazione collettiva che deve affidarsi alla ricerca della buona architettura e alla relativa corretta divulgazione.

Architettura Violata

Ecco che ritorna il tema della violazione dell’architettura. E naturalmente il contesto di riferimento è l’Italia.

Da dove partire? Dall’affermazione, ormai nota, secondo cui Quella degli architetti è la categoria più infetta. Meglio l’Italia dei geometri? Francamente non so neppure se ne vale la pena. Ma è uno stimolo, in qualche misura, per affrontare temi molto interessanti.

In Italia, dal dopoguerra ad oggi, l’impeto di azioni edilizie sconsiderate è stato devastante. Si stima, per difetto, che la produzione dovuta ai geometri copra almeno l’ottanta/novanta per cento della complessiva. Ciò significa che le distruzioni dei paesaggi, cui si assiste in ogni luogo (specie nel Mezzogiorno), non è dovuta agli architetti. E questo è un dato di fatto.

Colpa dei geometri? Non credo. D’altro canto, ognuno produce ciò che gli deriva da capacità e formazione. La vera responsabilità è dovuta a un sistema legislativo e amministrativo incoerente, superficiale e corrotto. Un sistema che non tiene conto degli aspetti formativi, né di quelli relazionati alle capacità personali. Così, un geometra è titolato a fare ciò che, per competenza, spetterebbe agli architetti e agli ingegneri (ognuno per le proprie specifiche professionali). Tant’è che gli Ordini Professionali degli Architetti e degli Ingegneri, riuniti, hanno avanzato una causa nei confronti del potentissimo (dato il numero di iscritti) Collegio dei Geometri. Ed è stato necessario giungere in Cassazione. La Corte si è pronunciata sul tema nel 2009, chiarendo i limiti delle competenze dei geometri e sancendo il divieto di subordinazione dei tecnici laureati da quelli non laureati. Cosa che avrebbe dovuto tempestivamente produrre effetti amministrativi nelle PP.AA., come l’immediata sostituzione dei geometri negli Uffici Tecnici a vantaggio di tecnici laureati. Ovviamente ciò non è accaduto.

Ritengo che il mestiere di geometra sia lodevole, ma – come per ogni mestiere – limitatamente alla sfera di azione delle competenze specifiche. Ritengo che il mestiere dell’architetto conservi, per percorso formativo, delle prerogative che non possono essere scavalcate.

Chi ritiene che quella degli architetti sia la categoria più infetta, senza analizzare quale derivazione abbia lo scempio del paesaggio italiano, parla senza fondamento. E semmai l’affermazione fosse riferita al tentativo, purtroppo ancora timido, che l’Italia sta facendo nell’avvicinarsi all’innovazione architettonica contemporanea, beh, allora siamo di fronte a un’incapacità evidente di comprendere i processi evolutivi internazionali. È una chiusura nei confronti della ricerca appassionata, quel genere di ricerca che ha prodotto l’alternanza delle fasi storiche dell’architettura, che ha dato forma anche al lodevole passato, che ne ha consentito il progresso.

Ma l’Italia, che nei tempi andati è stata maestra, oggi subisce la sua magnificenza storica. Questione che ho già affrontato in altri articoli: Un problema di cultura, Architettura contraddetta, Uno stadio per Roma, eccetera. L’agonizzante senso di malinconia produce poca reazione e troppa emulazione. La visione del futuro è contratta e alterata, il passo è debole.

Disturba che voci così stonate giungano da chi ha un rapporto privilegiato con l’arte (perlomeno, con certe arti). Ma non importa. È evidente che si tratta di considerazioni fondate su elegiaci appigli ai tempi che furono. O, più semplicemente, di provocazioni a cui non bisogna prestare il fianco. Dispiace soltanto che l’eco possa ingigantirne il peso e rallentare ancor più i processi evolutivi dell’architettura italiana. Già – e più volte – abbiamo ascoltato pensieri preoccupanti, giunti tramite i media da esponenti elevati di diverse discipline. La responsabilità che ne deriva è grande e dovrebbe pesare come un macigno su chi si fa portavoce di certe affermazioni.

D’altro canto l’architettura non è per tutti, sebbene sia di ognuno. E certamente non può essere di coloro che non affidano alla sperimentazione formale, all’innovazione, il valore inestimabile della crescita culturale.

Passato e Futuro

Con l’articolo “Architettura Contraddetta” ho messo in evidenza alcune carenze dell’epoca attuale, denunciando l’assenza di una linea architettonica condivisa, di uno stile caratterizzante. Ricorderete che ho detto, tra l’altro:

…in altre epoche il passo era coerente, eccome. Le caratterizzazioni formali dei vari stili architettonici sono chiare a tutti: il gotico, il barocco, il rinascimentale, eccetera. E ne è chiara la cadenza temporale. Ma oggi? Quali sono i riferimenti? Quali le indicazioni per il nuovo “edificare”? Quanto ne sa la gente?

Bene. Vorrei precisare meglio il concetto, per evitare di essere fraintesa e per trasmettere un messaggio chiaro e inequivocabile.

Viviamo nell’epoca della grande confusione, dell’impennata delle scienze tecnologiche e informatiche, della prevaricazione dell’informazione (anche e soprattutto distorta) a qualsiasi livello e grado. In architettura – per circostanziare il concetto – i messaggi che ne derivano, soprattutto attraverso il web, giungono spesso da soggetti poco o niente affatto competenti.

Quest’epoca delirante paga a caro prezzo anche il grande dibattito sull’architettura che, non molto in là nel tempo, vedeva contrapposte le prerogative funzionali a quelle formali. Forma e funzione: quale privilegiare? L’ovvia risposta, incomprensibilmente giunta troppo tardi, è: perché non tutte e due? La dicotomia che ne era derivata, a mio parere, per lunghi anni ha trascinato in una strana forma di oblio la produzione architettonica d’autore. Intanto e di pari passo viaggiava il processo d’avanzamento della società dell’informazione. Il disastro è stato inevitabile.

Cara complessità! Perché mai non sei intesa come un bene prezioso?

In passato, le linee evolutive dei processi architettonici venivano divulgate quasi esclusivamente tramite l’opera dei grandi professionisti. Quell’opera che ancora adesso riempie i libri di testo e diviene evocativa per coloro che hanno la capacità di analisi, di discernimento, d’interpretazione corretta dell’evoluzione storica dei grandi e affascinanti processi architettonici.

Con questo spirito analitico e critico deve essere letto il passato. Fonte di grande ispirazione, ma giammai di emulazione. Eccome, se la storia dell’architettura insegna! Tuttavia, anche e soltanto l’idea di imitare forme e caratterizzazioni di qualsiasi epoca passata costituisce il più disastroso errore che un architetto possa fare.

L’architettura, lo ripeto, è arte. E, in quanto tale, è ricerca continua, appassionata. Dunque è innovazione.

Mi auguro di essere stata chiara. E avrò modo di ritornare più volte a parlare dell’importanza del passato nella costruzione del futuro.

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