Elodia Rossi

Architettura e Ambiente: Energie Rinnovabili

Architettura e Ambiente: sembrerebbe un binomio, caratterizzato da due distinte entità benché interagenti. Non è così perché l’architettura è, essa stessa, ambiente.

Ciò che oggi passa per Economia Verde (in anglosassone, Green Economy) include tutti quei provvedimenti destinati alla contrazione dell’impatto ambientale, tramite azioni a favore della sostenibilità. Si parla di energie rinnovabili, di riciclaggio dei rifiuti, di riduzione dei consumi.

Non mi soffermo sul concetto di sviluppo sostenibile, a mio parere avulso dalla realtà e da me criticato in alcuni studi e pubblicazioni, ritenendo più utile parlare di sviluppo meno insostenibile.

Desidero, invece, analizzare i tre capisaldi dell’Economia Verde, partendo – tramite questo articolo – con quello relativo alle energie rinnovabili.

Bisogna prima rimettere al loro posto i concetti. Le energie rinnovabili sono il sole, il vento, l’acqua. Pannelli solari, eolico, termodinamico, altro non sono che strumenti di cattura delle energie.

Emergono alcune contraddizioni tra la tutela dell’ambiente e l’impiego di alcuni di questi strumenti, che possono ricondursi a due grandi temi: l’estetica e la salvaguardia naturale.

Il tema estetico

I pannelli solari, ad esempio, sono antiestetici e l’impatto che generano sul paesaggio è davvero notevole. Un impatto negativo che si deve soprattutto all’usuale modalità di applicazione di questi strumenti: cineree distese pannellate su tetti e coperture d’ogni tipo, con frequente alterazione visiva della sagoma d’origine. Ne derivano paesaggi snaturati e stilisticamente squalificati (laddove è apprezzabile qualche stile). Qui dovrebbe correre in soccorso il buon architetto, ricercando modalità applicative in grado di annientare (o, perlomeno, contrarre) il danno estetico. Qualche studio interessante è emerso nel corso dei recenti anni, come quello della creazione di un finto albero portante le pannellature. Non male, ma bisognerebbe approfondire, migliorare e produrre nuove idee. Un buon aiuto viene soprattutto dall’introduzione di nuovi strumenti di cattura, come le tegole solari, il cui impatto visivo si riduce drasticamente, spesso fino all’annientamento.

Personalmente non trovo altrettanto antiestetiche le pale eoliche. Talvolta producono suggestioni piacevoli su alcuni paesaggi. Ma qui, problemi di altra natura sono davvero insostenibili.

Il tema della salvaguardia naturale

Oltre la questione estetica, già di grande rilevanza e parte attiva nella salvaguardia paesaggistica, mi permetto di porre qualche circostanziato dubbio sul tema della tutela naturale in senso ampio, vale a dire sull’effettiva capacità di contrazione dell’impatto ambientale funzionale. Mi sono sempre chiesta: quando il ciclo di vita dei pannelli solari si esaurisce (mediamente 15-25 anni), dove e come sono smaltiti questi strumenti, visto che si tratta di rifiuti assimilati agli elettronici? Né, come spesso strumentalmente affermano le aziende di settore, viene in soccorso il D.Leg. n. 49/2014, visto che il tanto richiamato art.40 pone l’accento più sui meccanismi di incentivazione che su altro. Senza contare che l’intero Capo II (Deposito preliminare alla raccolta, raccolta, trattamento adeguato e recupero) appare più orientato all’organizzazione degli smaltimenti e meno alle relative modalità. Qualche cenno si rinviene nell’art. 18, ma è poca cosa surrogata da molti rimandi a futuri Decreti, Accordi di Programma, e altro ancora. La verità è che la quantità potenziale di materiale da smaltire preoccupa e non poco. Bisognerà confidare sulle ricerche mirate alla rigenerazione dei pannelli. Ma converrà al mercato?

E tutto questo, senza aver fatto cenno alla più consistente delle contraddizioni: qualche esperto mi dice che la produzione di un pannello solare richiede più energia di quanta esso ne possa produrre lungo il suo ciclo di vita. Insopportabile.

Per le pale eoliche, il problema dello smaltimento è ancora più gravoso. Il ciclo di vita delle turbine si aggira intorno ai 25 anni e le pale raggiungono perfino dimensioni di 90 mt in lunghezza. Come smaltirle, visto che oggi – nonostante contengano elementi tossici – finiscono in discarica? E poi è stato accertato, tra le numerose componenti negative, che questi strumenti di cattura hanno il potere di deviare le rotte degli uccelli migratori (talvolta addirittura di sterminare intere popolazioni in migrazione), generando un danno enorme agli ecosistemi di cui l’uomo, non si dimentichi, è parte attiva. Qualche buon auspicio giunge dal settore, ancora acerbo, del micro-eolico. Speriamo bene.

La dolorosa verità è che siamo negli ambiti sfacciati dei grandi affari. Sono nate e nascono come funghi aziende di produzione di strumenti per la cattura delle energie rinnovabili e, di pari passo, aziende per i relativi smaltimenti. Piogge di incentivi pubblici, dunque, a sostegno di uno scenario che manca di efficaci normative e cozza contro alcuni principi della tutela ambientale. Se per economia verde s’intende anche il buon riciclaggio dei rifiuti, non è forse una contraddizione in termini?

Quali soluzioni? Ce ne potrebbero essere e ne parlerò.

Amici architetti, anche qui è necessario il nostro contributo e, prima ancora, la conoscenza e l’analisi dei fatti.

Architettura Contraddetta

Voglio riprendere un concetto che ho riportato nella sezione BIO di questo blog.

C’è un’enorme letteratura sul Colosseo, tanto da essere noto anche a chi non lo ha mai visto. Ma che senso avrebbe costruire un edificio, oggi, a immagine e somiglianza dell’Anfiteatro Flavio? Sarebbe come indossare un costume da gladiatore per andare in ufficio. Ma perché, se questo concetto è chiaro in abbigliamento, rimane oscuro in edilizia? Si continua a costruire come un tempo, a imitare forme di un tempo, con materiali di un tempo.

Ora voglio approfondire il tema per mettere in evidenza la contraddizione che vive oggi l’architettura.

Chi andrebbe in ufficio vestito da gladiatore? Nessuno, credo. Oppure solo qualcuno: un provocatore, un contraddittore, un folle.

Come sarebbe visto dagli altri? Risate, derisioni, finti compiacimenti.

Eppure, nell’antica Roma era un abito usuale. Come quello della cortigiana, quello del poeta, quello del Senatore. Ma lo vedreste uno dei nostri Senatori presentarsi a Palazzo Madama conciato come allora?

Concetti banali, vero? A nessuno verrebbe in mente di rifletterci sopra. Gli usi, i costumi sono andati avanti, sono progrediti, si sono più o meno evoluti. Qualche volta i grandi artisti della moda si ispirano a elementi del passato, ma in forma nuova, con approccio differente, con risultati decisamente diversi.

Adesso bisognerebbe pensare ad alcuni paesaggi, osservandone l’edilizia (naturalmente, spostandosi fuori dai nuclei storici, per i quali il discorso assume differenti forme di cui parlerò). A meno di realtà molto rare, sembrerà di vivere in altri tempi: ma solo ad un primo impatto! Case “in stile” più o meno azzeccato, trionfi di pietrame “finto antico” ad adornare le pareti, sontuose scalinate con ringhiere lavorate e smaltate emulando forme e tecniche trascorse, tegole cosiddette “antichizzate” ossia maldestramente pitturate come fossero ricoperte di una patina di muffe multicolore, legno lamellare malamente impiegato per ricalcare coperture montane anche in condizioni ambientali sfavorevoli, e via dicendo. Un delirio!

E non sia mai si visita l’interno di una di queste abitazioni! Niente di più facile è trovarvi qualche stucco “finto veneziano”, qualche pitturazione a spugna con trionfi di colore magari fluorescenti, finti parquet, finti marmi, finti rivestimenti. Insomma, “finto” è la parola d’ordine.

Ma perché?

Non c’è niente di più squallido della finzione.

Perché i maestri della moda hanno saputo reggere il passo e trasmettere il messaggio dell’innovazione, costantemente, risolutamente, correttamente? Perché i maestri dell’architettura non sono stati altrettanto capaci, ai tempi d’oggi?

Già, ai tempi d’oggi. Visto che è pur vero che in altre epoche il passo era coerente, eccome. Le caratterizzazioni formali dei vari stili architettonici sono chiare a tutti: il gotico, il barocco, il rinascimentale, eccetera. E ne è chiara la cadenza temporale. Ma oggi? Quali sono i riferimenti? Quali le indicazioni per il nuovo “edificare”? Quanto ne sa la gente?

Poco, direi, visto ciò che si “ammira”. Com’è dunque possibile che nell’epoca dell’innovazione, quella vera, la regina delle arti sia così drammaticamente mortificata? Com’è possibile che la grande produzione di nuovi materiali, spesso derivati da eccelse applicazioni della ricerca d’avanguardia (si pensi alle nanotecnologie), sia poi orientata all’emulazione delle forme e dei colori del passato?

Molti di questi nuovi materiali, così diversi in consistenza – mi piace dire, diversamente materici –  potrebbero essere utilizzati con sapienza, senza emulazione, consapevolmente e assecondandone ogni caratteristica (ne suggerirò molti e per interessanti usi, in altri articoli).

Esiste un mondo straordinario, un fermento che vive e si consuma nelle cantine dell’architettura, che invece dovrebbe venire allo scoperto e denunciare il sopruso. Una forza potente, prorompente, un movimento in grado di travalicare i beffardi limiti dell’odierna editoria (la letteratura non ha più una casa – Rif. articolo sezione BIO) e lanciare un messaggio diretto, incessante, convinto. Confido nei giovani.

Come per la derisione dell’abito del gladiatore, oggi si dovrebbe deridere ogni esternazione pseudo-architettonica fondata sulla tragica emulazione dei tempi trascorsi.

Architettura contraddetta. Oggi maledetta, dissacrata, violata. Dunque non più architettura.

Bisogna che la regina riprenda il suo posto, impugni lo scettro e imponga l’innovazione.

È necessaria la riaffermazione del predominio che le è dovuto, da sempre, nell’arte.

ARCHITETTURA VIOLATA

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