Elodia Rossi

VI – Le dimensioni dell’architettura

La LUCE: riferimento percettivo misurabile (il lux per la misura dell’illuminazione di un oggetto, il lumen per la misura di illuminazione complessiva, la candela per la misura dell’intensità luminosa), capace di restituire immagini differenti dell’oggetto architettonico nel corso delle diverse ore, delle differenti stagioni, dei molteplici luoghi. È la Quinta Dimensione.

Finalmente, la luce. La luce è parte attiva dell’architettura perché solo attraverso essa l’oggetto formale può essere visto, capito, fruito. Che senso avrebbe l’architettura senza luce?

La posizione dell’edificio, la sua dimensione e la disposizione delle aperture per l’attrazione della luce solare, l’organizzazione delle fonti luminose artificiali, sono elementi che meritano la più elevata attenzione nella fase progettuale. È innanzitutto da essi che deriva la riuscita di un’opera.

Difatti esiste uno sdoppiamento di questa dimensione. La luce solare e quella artificiale. Ambedue concorrono a definire lo spazio di vita.

È con la luce che l’architetto vero cerca di esprimere sé stesso, di consegnare alla sua opera un valore che va oltre la forma, o meglio che la ingloba nell’articolarsi dei vuoti e dei pieni, in un gioco di intuizioni percettive che, se ben composto, restituisce la più elevata dignità. Come non fare riferimento a un’opera notissima, le cui prerogative s’individuano proprio nei giochi di luce, quale derivazione di uno studio accorto e magistrale? Parlo della Cappella Notre-Dame du Haut a Ronchamp, di Le Corbusier. Forse è l’esempio più idoneo a rappresentare quanto sia importante fare i conti con la luce, fin dai primi passi della composizione architettonica.

Struttura piuttosto compatta, seppur affidata a superfici rientranti e ricurve oltre che inclinate, con elementi architettonici suggestivi anche in copertura, la Cappella Notre-Dame affida le facciate a composizioni articolate di finestrature piccole, superando ogni idea di simmetria. Il brutalismo incalza e le aperture posseggono forme differenti anche tra interno ed esterno, sviluppando le diverse dimensioni nell’attraversamento delle murature. Il compito di orientare l’ingresso della luce solare nelle differenti ore è eseguito con grande maestria e la suggestione che l’edificio offre al suo interno è spettacolare. Il fascino percettivo viene esaltato dall’impiego di colori introdotti talvolta nei vetri attraverso cui transita la luce. Ma non è stato forse proprio Le Corbusier ad affermare che l’architettura è il gioco sapiente, corretto e magnifico dei volumi raggruppati sotto la luce?

Esterno e interno. Bellissima.

La luce, come il suono, è misurabile, l’ho detto (rif. https://www.elodiarossi.it/iv-le-dimensioni-dellarchitettura/). Anch’essa ha la capacità di modificare la percezione di un manufatto architettonico perfino istantaneamente, superando la prerogativa della IV Dimensione, il Tempo.

La luce segue le regole della propagazione, della riflessione, della diffusione, della diffrazione e dell’interferenza, secondo principi dipendenti dalla sua natura di onda elettromagnetica.

Interessante è il tema della luce solare che colpisce gli edifici e viene talvolta percepita come una fonte puntatore (mi concedo questo termine, a mio parere efficace). Ecco un’immagine esterna del Roma Convention Center, ovvero la Nuvola di Fuksas, in una particolare ora del giorno. Era tardo pomeriggio, quando la scattai. Il raggio puntatore (il tema meriterebbe approfondimenti complessi) colpisce la Lama (ossia l’edificio alberghiero, parte integrante del complesso architettonico) e ne offusca quasi il paesaggio circostante.

Ma è solo un esempio. La percezione esterna di un edificio muta considerevolmente nelle differenti ore del giorno, proprio in dipendenza dell’intensità (dovuta a condizioni meteo) e dell’orientamento dei raggi solari.

Insomma, la luce è indiscutibilmente la Quinta Dimensione dell’architettura. E non si pone al quinto posto ma, come le alte, ha un ruolo fondamentale e paritario nella percezione, collettiva e individuale, dello spazio edificato.

Sto scrivendo un libro su questo argomento.

V – LE DIMENSIONI DELL’ARCHITETTURA

V – LE DIMENSIONI DELL’ARCHITETTURA

Il SUONO: riferimento percettivo misurabile (l’hertz –Hz per la misura della frequenza, il decibel per la misura dell’intensità), capace di offrire differenti percezioni dell’oggetto d‘architettura in relazione alla sensorialità del fruitore. È la Sesta dimensione.

Parto col Suono. Parto con la Sesta Dimensione. Com’è mio solito, disubbidisco a me stessa. Inverto i tempi e tratterò della Quinta Dimensione, la Luce, nel prossimo articolo.

Si, parto col suono perché è esso che mi ha offerto il primo spunto di riflessione, quando pesavo e ripensavo (e penso ancora) ai comuni denominatori dell’Architettura. Architettura, ovviamente con la lettera maiuscola, così da distinguerla – come ho sempre detto – dalla consueta e diffusa operazione dell’edificare fine a sé stessa.

Avevo progettato e stavo dirigendo i lavori di riqualificazione di due spazi pubblici, pressoché contigui. È proprio nel corso di questa attività che ho avuto la prima delle intuizioni.

Uno dei due spazi, piuttosto ampio, possiede una complessa struttura pregressa, essendo impostato su un imponente impianto pilastrato. Di difficile approccio, ovviamente, ne derivavano alcune questioni. Tra queste, l’inserimento del verde, convinta che l’eventuale assenza avrebbe ricondotto a un’organizzazione meno efficace, piatta, meno suggestiva. Né avrei potuto ricalcare le scelte pregresse (e da me demolite) che vedevano un’aberrante distribuzione di grosse aiuole all’interno dello spazio, ostacolanti la fruizione e problematiche per la struttura di sostegno (che stava subendo grosse ripercussioni). E così decisi di utilizzare il verde posizionandolo lungo il limite interno della piazza, laddove la struttura è ancorata al grosso muro di sostegno della via limitrofa, oltre che in prossimità del margine inferiore, dove l’impianto pilastrato possiede un’altezza minore (e, di conseguenza, una maggiore resistenza). Il verde, si sa, offre una percezione di vita, interrompe la staticità visiva. Parlerò, presto o tardi, di quest’attività – corredando il tutto con foto del prima e del dopo – nella sezione Percorsi di questo blog.

Nel corso delle lavorazioni, ma ancor prima, durante la progettazione, riflettevo attentamente sul risultato finale. Lo visualizzavo nella mia mente, abituata – ovviamente – a tale esercizio del pensiero. Caspita: pur soddisfacendomi la scelta complessiva (pavimentazioni, organizzazione generale, posizionamento del verde, eccetera), percepivo l’assenza di qualcosa che potesse restituire all’insieme una maggiore suggestività. Pensai a lungo. Nel bel mezzo di una notte insonne, capii che avevo bisogno di acqua. Acqua corrente. Movimento, ecco. Movimento.

Fu così che introdussi un ampio muro d’acqua, posto in corrispondenza di quel margine inferiore di cui ho fatto cenno, avente maggiore stabilità. Di lì il passo fu breve. Edificato, strutturato nei dettagli anche riguardo il funzionamento (non acquistato dal primo rivenditore, ma studiato e realizzato in opera), la piazza restituiva finalmente quello che avevo desiderato. Nel silenzio del centro storico di un paese collinare, ecco che un pomeriggio mi soffermai sul delicato suono che quest’acqua corrente consegnava alla percezione dell’insieme. Fu allora che aprii le porte della mia mente agli inattesi scenari delle Dimensioni dell’Architettura.

Suono: parte integrante dell’Architettura, elemento sostanziale nella sensazione individuale e collettiva di un ambiente edificato o urbanizzato che sia.

Capii perfino perché, per esempio, non avevo mai apprezzato il MAXXI di Roma, opera del ben noto architetto Zaha Hadid. Al di là delle scelte formali – che non sono di mio gusto, pur riconoscendovi una non usuale genialità – non c’è acqua, neppure nell’ampio spazio esterno. Non c’è acqua. E il suono che ne deriva è ampiamente compromesso dal frastuono urbano. Ancor più ne avrebbe avuto bisogno.

Il quadro percettivo si ampliava nella mia mente. Si ampliavano gli orizzonti, le analisi e le restituzioni relative, riflettendo sul valore del suono nell’Architettura, ben oltre il risultato che deriva dal fruscio dolce dell’acqua.

Il suono può divenire rumore e consegnare non piacevolezza, ma fastidio. Tutto sta a come viene impiegato, alle variabili in gioco non sempre positive (come la posizione, per esempio) e alla capacità di mitigarle tramite altro suono, ma anche attraverso la composizione formale laddove si tratta di un edificio.

Il suono è misurabile, l’ho detto (rif. https://www.elodiarossi.it/iv-le-dimensioni-dellarchitettura/). Il suono ha la capacità di modificare la percezione di un manufatto architettonico perfino istantaneamente, superando una delle prerogative della IV Dimensione, il Tempo.

Mi vengono alla mente le parole del grande filosofo Aldo Masullo, di cui ho già accennato. E mi viene in mente l’esempio che egli faceva sulla differente percezione di una stazione ferroviaria tra le ore diurne, in cui irrompe frastuono della folla, e quelle notturne, caratterizzate invece da ampio silenzio. L’assenza di frastuono apre altri orizzonti e sollecita altri sensi.

Il suono possiede una relazione strettissima con l’opera architettonica, incidendo perfino sulle modalità costruttive. Quando si progetta una sala di registrazione musicale, bisogna contenere il suono dello spazio chiuso, assorbendo gli eccessi tramite precise tecniche e tecnologie. È l’insonorizzazione.

Perfino negli spazi aperti, a volte emerge la necessità di contenere il suono per garantire la riduzione della sua propagazione. Basti pensare alle barriere insonorizzanti poste ai margini di grandi arterie, quando queste sono prossime a edifici, soprattutto residenziali.

Il suono segue le regole della propagazione, della riflessione, della rifrazione e della diffrazione, secondo principi strettamente correlati ai decibel con cui viene diffuso. Ma anche in derivazione delle forme architettoniche e dei materiali impiegati.

Il legno ha una capacità di assorbimento del suono decisamente più ampia dell’acciaio. L’acciaio, dal canto suo, possiede una capacità di riflessione del suono ben più alta del legno. Insomma, se si deve progettare una discoteca in ambito urbano, è bene utilizzare materiali che siano riflettenti, combinati a quelli fono assorbenti, evitando l’utilizzo di materiali rifrangenti e disperdenti.

Pensando agli spazi aperti destinati alla collettività, ma anche a quelli privati, è per esempio facile immaginare la differenza percettiva tra le giornate di calma e quelle ventose. Ci si addentra i questo modo, nell’ambito variegato e affascinate dei suoni della Natura. Non sarebbe forse diversa, ditemi, la percezione che oggi – in questo periodo di clausura per via della cosiddetta emergenza sanitaria – si potrebbe avere nel percorrere il tanto famigerato e acusticamente inquinato grande raccordo anulare? Si avrebbe di certo il modo e la voglia di osservare i grandi spazi che esso attraversa: dalla verdeggiante campagna romana, alla suggestione della sterminata apertura dell’urbanizzazione capitolina. E tutto questo, senza l’assordante rumore (suono) del traffico che distoglie e confonde.

Immaginiamo il suono dell’eco che riverbera all’interno degli edifici, sempre, ma non sempre in maniera percepibile per l’orecchio umano. E ciò avviene anche per gli spazi aperti. Dal punto di vista fisico, ma anche acustico, l’eco deriva dalla riflessione del suono (più esattamente, delle onde sonore, con richiamo agli hertz della frequenza) nell’incontrare un ostacolo (elemento riflettente), nel corso della sua propagazione. Il ritorno delle onde sonore viene percepito con un ritardo più o meno lungo (tuttavia mai inferiore a 1/10 di secondo) rispetto al suono diretto. Qui è ritrovabile una stretta relazione tra Suono (Sesta Dimensione) e Tempo (Quarta Dimensione) e spazio (edificio o luogo aperto che sia). La propagazione del suono produce, tra gli altri e come accennato, il fenomeno della riflessione. È l’elemento riflettente, l’ostacolo, che determina il tempo di ritorno del suono propagato o di parte di esso: ossia, dipende dalla capacità di assorbimento dell’ostacolo.

Interessante è il tema dell’ascolto del suono, della capacità umana di elaborarlo più o meno istantaneamente: questo è il punto su cui s’incentra il tema proprio della percezione dell’Architettura. D’altro canto, tale percezione avviene impiegando, separatamente o meno, quattro dei cinque sensi: la vista, il tatto, l’udito e l’odorato. Ovviamente, non il gusto fin quando non mangeremo mattoni. Tralasciando gli altri, è evidente che il suono richiama innanzi tutto l’udito. Sovrastante esso, ma anche gli altri tre sensi, vi è la capacità individuale di elaborazione. Tema lungo, interessante, affascinate. Ne parlerò. Per adesso, mi fermo qui.

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