Elodia Rossi

The big Urban Trouble

Questo articolo in lingua inglese è una sintesi dei concetti e dei dati che ho riportato nei miei recenti scritti sul più grande dei temi ambientali: le sorti del Pianeta e le responsabilità degli ambienti urbani. Desidero pubblicarlo allo scopo di permettere, a tutti coloro che non parlano l’italiano, di entrare concretamente (e senza l’utilizzo del traduttore automatico) nel tema. Credo fermamente nell’importanza di una presa di coscienza collettiva.

The world city reflects the deception of sustainability. Urban areas consume 75% of the planet’s resources, while occupying an area of less than 5% of emerged land (149,000,000 km). More than 7.516 billion people live here. This value is in exponential growth, since this year – so far – there are more than 72 million children born and less than 30 million people died. The overall world population is distributed over 10% of the emerged lands, ie 14,900,000 km.

By crossing and joining several data, it is reasonable to assert that:

Less than 1% of emerged lands (a quota attributable to highly urbanized areas) is home to 4 billion individuals, with a dramatic and oscillating population density depending on the type of area. Here, among other things, is where slums develop, hosting 1 billion people.

Approximately 4% of emerged lands (the share attributable to the urbanized areas) accommodates 2 billion people,

On the remaining 5% (less-urbanized areas) are hosted 1.5 billion individuals.

The megalopoles, dizzyingly increasing in number (in 2014 the UN estimated that they would be 29 by 2025, but nowadays they are already 37) even exceeded the concept Gottmann had given them. The polynuclear structure seems to no longer exist and agricultural areas – interconnection bearings – are now disappeared in most cases.

These monsters – constantly monitored by the UN Habitat Global Urban Observatory Network (GUO Net) – almost never offer acceptable living conditions. Beyond cases where urban rationalization – derived from effective planning (as in New York) – produces a more fluid form of living, these places attract and generate problems of all kinds.

In short, the city grows to a standstill and the urban needs – both real and ephemeral – follow the pace. Our inability to cope with such demand raises delirium and the outcomes are enormous environmental damage, low standards of life quality (which calls for insecurity, abandonment, traffic, widespread overload, criminality, misery, etc.) to war and early death.

More and more the city is becoming a place of dying living instead of living.

The glitter of night lights, the availability of entertainment venues, the spread of supply services, and all the other apparent benefits are straw fires, and too often they are the cause of great discomfort.

The city is not ready for the change that today’s society has quickly imposed, defining a devastating trajectory. The architectures are inadequate and the political/administrative absurd presumption to internationalize all urban areas is like a knife in the back of global equilibrium. Meanwhile, China is pushing further and, by following a political imperialist thought, launches a plan to build the world’s largest megalopolis: Jing-Jin-Ji, designed to accommodate more than 130 million people. A world domination plan.

Which message? Which answer? What future? What actions to take?

The failure of the Brundtland Report that in 1987 through the WCED (World Commission on Environment and Development) coordinated by Gro Harlem Brundtland proclaimed a concept of sustainability in which “sustainable development is the kind of development that meets the needs of the present without compromising the ability of future generations to meet their own needs” is indisputable despite the good intentions of their premises.

The process of change in which resource exploitation, investment orientation, technology development and institutional changes are made consistent with future needs as well as with the current, as imagined in the Report, has no foundation at all. Suffice to reflect on the limits of some resources. Since 1987, pollutant sources have increased dramatically, as well as intensive breeding (the main cause of the greenhouse effect) has multiplied, and PM10 (and other weeds) emissions have grown. And then land erosion, desertification and the consequent extinction of animal species (one should consider the fundamental importance of the ecosystem balance), and more. And then the exponential growth of conurbations that, as said, absorb 75% of planetary resources. And more, the iniquitous breakdown of wealth that, given the values now reached, seems to slap on the face of the same Brundtland Report, where it expects that by adopting some measures, a more consistent distribution would be achieved, even at national levels.

In short, Our common future: even so the Report is known. But the disasters in which Earth is immersed do not even allow us to glimpse a long-term future, let alone how provocative and lying it may be to talk about a “common” expectation.

However, one point of the Report must be praised: having introduced the importance of everyone’s participation in the processes of change. For this reason, the true propulsion to mitigate the total damage is to be sought in the generation of a collective consciousness that can only be derived from a proper knowledge.

Grazie all’amico e professionista Fabio Autore per la traduzione.

L’immenso dramma urbano

La città mondiale è lo specchio dell’inganno della sostenibilità (Rif. art. L’inganno della Sostenibilità). Come ho già detto, gli ambiti urbani consumano il 75% delle risorse del Pianeta, pur occupando una superficie inferiore al 5% di quella delle terre emerse (Rif. Articoli della serie Spasi e Luoghi dell’Architettura).

In valori assoluti, su circa 149.000 migliaia di km, estensione delle terre emerse, vivono oltre 7,516 miliardi di persone (valore in esponenziale crescita, visto che solo quest’anno – e finora – sono nati oltre 72 milioni di bambini e sono morti poco meni di 30 milioni di individui). La popolazione mondiale complessiva è distribuita sul 10% delle terre emerse, ossia su 14.900 migliaia di km. 4 miliardi di persone vivono nelle aree altamente urbanizzate, altri 2 miliardi circa vivono in quelle mediamente urbanizzate. Solo 1,5 miliardi di individui sono distribuiti nelle aree meno urbanizzate.

Appare ragionevole, intersecando i numerosi dati che ho riportato in vari articoli, asserire che:

  • meno dell’1% della superficie delle terre emerse (quota attribuibile alle aree altamente urbanizzate) accoglie 4 miliardi di individui, con una densità abitativa drammatica e oscillante in dipendenza della tipologia di area. Qui ha sede lo sviluppo delle baraccopoli che, come ho già detto (Rif. Art. 4 – Spazi e Luoghi dell’Architettura), ospitano 1 miliardo di persone,
  • circa il 4% della superficie delle terre emerse (quota attribuibile alle aree mediamente urbanizzate) accoglie altri 2 miliardi di persone,
  • sul restante 5% (aree poco urbanizzate) sono distribuiti 1,5 miliardi di individui.

Chiarisco che quando parlo di aree altamente urbanizzate non mi riferisco solo alle 21 maggiori megalopoli (fenomeno inquietante, che da solo accoglie il 20% della popolazione mondiale – Fonte ONU, ovvero 1,5 miliardi di persone), ma a tutti quegli ambiti che presentano un tasso di urbanizzazione molto alto. Quando parlo di aree mediamente urbanizzate, mi riferisco alle città medie città. Gli agglomerati minori – borghi, paesi, piccole città, eccetera – costituiscono l’ultima categoria.

Tokyo – Foto di David Mark
Fonte Pixabay

Le megalopoli, in vertiginoso aumento anche del numero (nel 2014 l’ONU stimava che sarebbero diventate 29 nel 2025, e invece già oggi se ne contano 37), hanno superato perfino il concetto che ne aveva dato Gottmann. La struttura polinucleare sembra non esistere più e le aree agricole – cuscinetti d’interconnessione – sono ormai sparite nella maggioranza dei casi.

Questi mostri – costantemente monitorati dal Global Urban Observatory Network (GUO Net) di UN Habitat – quasi mai offrono condizioni di vita accettabili. Al di là di casi in cui la razionalizzazione urbana, derivata da un’efficace pianificazione (come per New York), se non altro produce una forma di vivibilità più fluida, questi luoghi attraggono e generano insieme problemi di ogni natura.

Giusto per avere idea del fenomeno, benché approssimativa, le 21 maggiori megalopoli accolgono più di 350 milioni di individui e occupano una superficie totale di circa 120.000 kmq. Ne deriva una densità media di 2.916 ab/kmq. Valore molto vicino a quello di Roma, pur non essendo questa nel guinness dei primati. Ma qual è la vera distribuzione degli abitanti delle megalopoli? Come valutarne le concentrazioni in porzioni di territorio maggiormente compromesse? Può considerarsi accettabile, per esempio, che Mumbai possegga una densità superiore ai 30.000 ab/kmq e Lagos superi i 16.000? Un dato è certo: densità urbana e povertà sono fortemente relazionate.

Insomma, la città cresce a dismisura e i fabbisogni urbani – reali ed effimeri – seguono il passo. L’incapacità umana di contrarne la domanda genera il delirio di cui ho più volte detto e le ripercussioni sono rintracciabili nell’enorme danno ambientale, nell’invivibilità (che richiama insicurezza, abbandono, traffico, sovraccarico diffuso, criminalità, miseria, insopportabile amplificazione del divario ricchezza/povertà, eccetera), fino alla guerra e alla morte precoce.

Sempre più la città si sta trasformando da luogo del vivere in luogo del morire.

Lo scintillio delle luci notturne, la disponibilità di luoghi per lo svago, la diffusione di servizi di approvvigionamento e tutti gli altri apparenti benefici sono fuochi di paglia e, troppo spesso, sono essi stessi causa del grave disagio, perché richiedono un insostenibile impiego di risorse.

La città non è pronta al cambiamento che la società odierna ha velocemente imposto, definendo una traiettoria a dir poco devastante. Le architetture non sono adeguate e la presunzione politico/amministrativa di internazionalizzare ogni ambito urbano è un coltello nel fianco dell’equilibrio globale. Intanto la Cina si spinge ancora oltre e, derivazione d’un pensiero politico di stampo imperiale, avvia un piano per la costruzione della megalopoli più grande del mondo: Jing-Jin-Ji, pensata per accogliere oltre 130 milioni di abitanti. Un piano di dominazione del mondo.

Quale messaggio? Quale risposta? Quale futuro? Quali azioni intraprendere?

Procedo per passi. Ho promesso che avrei analizzato, uno a uno, i più importanti moventi del crollo delle città per poi, con prudenza, arrivare a definire le azioni che – dal mio punto di vista – potrebbero condurre a metodi di riqualificazione urbana. Inizierò col parlare di allevamenti intensivi e del derivato effetto serra. Perché è anche questo un problema urbano, visto che la domanda più ingente giunge da qui.

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