Elodia Rossi

N. 2 – Spazi e Luoghi dell’Architettura

Sono al secondo articolo di una serie che sto numerando. Si tratta di una specie di sintetica rivista sul tema degli spazi e dei luoghi dell’architettura globale, con attenzione particolare all’Italia.

È mia intenzione individuare quali orientamenti dovrebbe avere l’architettura dell’oggi e del domani, in relazione alle tematiche spazio/ambientali.

Nell’articolo precedente (N. 1- Spazi e Luoghi dell’Architettura), dopo una sommaria ma – a mio parere – indicativa analisi dei dati su popolazione, territorio e densità abitativa, ho posto alcune domande. In questo articolo e in quelli che seguiranno proverò a darvi risposta.

I quesiti:

Quali sono le logiche con cui interpretare i dati emersi, apparentemente sorprendenti? Una densità abitativa alta è segno di degrado o di progresso? I dati decontestualizzati possono aver senso? Cosa ci aspetta domani?

Inizio.

Quando affermo che i dati emersi appaiono sorprendenti, mi riferisco alle oscillazioni che vengono determinate, rispetto al dato medio di densità abitativa mondiale, dalle aree urbanizzate. Difatti la media di 50 abitanti/kmq relativa alle terre emerse viene a ridursi considerevolmente nelle aree esterne alle grandi e medie città.

Più della metà delle persone del mondo vive in aree altamente urbanizzate (circa 4 miliardi), seguendo un andamento esponenziale. Secondo l’ONU, che dal 1988 elabora uno specifico rapporto annuale sul tema, la popolazione urbana mondiale dovrebbe aumentare all’84 per cento entro il 2050, raggiungendo i 6,3 miliardi di persone.

La superficie del globo occupata da insediamenti umani è pari a 1/10 della complessiva superficie delle terre emerse. Qui vive il 95% della popolazione mondiale.

Detto fatto. Sul 10% della superficie terrestre (pari a 14.900 migliaia di kmq) vivono oggi 7,125 miliardi di persone. Ciò significa che sul restante 90%, pari a 134.100 migliaia di kmq, ne vivono 0,375.

Passiamo alla densità abitativa media. Rispetto al dato complessivo (50 ab/kmq), sul 90% (aree non urbanizzate) la densità è pari a 2,8 ab/kmq, mentre sul 10% di aree urbanizzate (di qualsiasi specie) la densità abitativa sale a 478,19 ab/kmq. Quest’ultimo dato è ulteriormente scorporabile se si osserva quello medio relativo alle megalopoli, pari a circa 12-15.000 ab/kmq. E siamo nel terreno dei valori medi, dunque soggetti a variazioni – anche sostanziali – interne ad ogni conurbazione.

La quota di 1/20 della popolazione complessiva vive nelle 21 megalopoli (con almeno 10 milioni di abitanti) del mondo. L’ONU stimava che le megalopoli sarebbero salite a 29 nel 2025. Riporto il relativo schema geografico proiettivo. Valore che si è rivelato, in breve tempo, sottostimato.

Fonte: Nazioni Unite

Ma quali effettive relazioni esistono tra questi dati e il disturbo ambientale? Da una lettura superficiale potrebbe sembrare che l’attuale tendenza alla concentrazione in aree altamente urbanizzate sia vantaggiosa per gli ecosistemi naturali. Non è così. O meglio, non è esattamente così, visto che il ruolo chiave spetta all’architettura, al modo con cui viene concepito l’abitare. Ma ci arriveremo.

A questo punto entra in campo il diffuso consumo ambientale che deriva dai bisogni delle grandi urbanizzazioni. E tutto ciò va ben oltre il solo consumo di suolo che compete le stesse aree sovraffollate, all’interno delle quali i tassi di inquinamento e di alterazione degli ecosistemi hanno raggiunto soglie insopportabili (i cui parametri specifici d’inquinamento superano quelli che sto enunciando).

Si pensi, ad esempio, che nel mondo 1.333.351 ha di foreste sono state distrutte (Fonte: FAO – Global Forest Resources Assessment) solo nel corso di questo anno (ossia in tre mesi) e 1.795.065 ha di terra coltivabile è stata erosa (Fonte: FAO – Dimension of need: Restoring the land). La desertificazione, sempre in questi tre mesi, ha raggiunto la soglia di 3.076.707 ha (Fonte: United Nations Convention to Combat Desertification). Di conseguenza, cresce vertiginosamente l’emissione di CO2, attestandosi a poco meno di 10 miliardi di tonnellate (Fonte: IEA – International Energy Agency). Infine, le sostanze tossiche rilasciate nell’ambiente corrispondono a 2.510.793 tonnellate (Fonte: United Nations Environment Program). Dati rilevabili in tempo reale, che si riferiscono all’anno e all’istante in cui sto scrivendo: ore 15,00 del 4 aprile 2017. Tra qualche minuto saranno già aumentati.

Valori che fanno rabbrividire e che devono sollevare la coscienza collettiva. E devono richiamare l’analisi collaborativa di noi architetti, operatori privilegiati per il conseguimento di un domani migliore.

Architettura e Ambiente: Riciclaggio dei Rifiuti

L’Architettura è ambiente, l’ho già detto. Ma quale relazione ha l’architettura con il tema del riciclaggio dei rifiuti?

A prescindere da considerazioni riguardanti la buona progettazione degli ambienti in cui si effettua la cernita dei materiali e il riciclaggio, sono convinta che la salvaguardia ambientale in senso lato sia di giovamento all’architettura. Ambienti puliti che accolgono i risultati delle buone pratiche progettuali.

Esiste un’altra componente da tener presente, ossia quella riguardante i derivati del riciclaggio: vetro, carta, alluminio, eccetera. Questi derivati sono materie prime anche per l’architettura e la buona conoscenza di essi, il relativo corretto impiego, determinano maggiore equilibrio tra edificazione e ambiente.

Tornando specificamente al riciclaggio dei rifiuti, solo per dovere di analisi, esamino alcune questioni di carattere generale.

Tutti sappiamo quanto enorme sia l’affare che sottostà il riciclaggio. E sappiamo quali interessi (e quali poteri) vi girano intorno. Siamo perfino consapevoli dell’amara verità secondo cui – a prescindere dalle strumentali campagne pubblicitarie – solo una parte dei rifiuti selezionati viene reimpiegata.

Nuovi e innovativi macchinari per la trasformazione si stanno facendo faticosamente strada in un mercato difficile da penetrare. E potrebbero essere una speranza, in ragione delle effettive potenzialità che posseggono. Ma quanto sono interessanti per chi presiede il settore? Potrebbero esserlo solo se transitassero attraverso il loro stesso governo.

Il punto che voglio trattare, il nodo vero di questa questione, è in una domanda che pongo alla discussione di tutti voi che mi leggete. Crediamo davvero che la soluzione al problema dei rifiuti sia esclusivamente dipendente da buoni sistemi di raccolta e di riciclaggio?

Quello che penso è che il primo e più importante elemento di buon governo risieda nella necessità di produrre meno rifiuti. La quantità di materiali di scarto – riciclabili o meno – che oggi produce l’umanità è sproporzionata. Se – dopo aver acquistato prodotti, ad esempio, in un supermercato – si suddivide la reale materia desiderata da tutto ciò che è confezionamento, ci si rende conto di aver pagato per portare a casa soprattutto immondizia. E riflettendoci un po’ sopra, ci si rende conto di quali affari miliardari vi girano intorno. Chiedo: c’è la volontà reale di risolvere un problema che sta devastando l’intero Pianeta?

Economia, economia verde, economia a sostegno dell’ambiente, oppure interessi, potenti gruppi capaci di influenzare l’attività del legislatore e le decisioni dei governi? Perché il legislatore non si preoccupa di contrarre la smodata commercializzazione di rifiuti?

Quale contributo potrebbe dare l’architettura a questo sistema malato? In maniera diretta, nessuno: è evidente. In via trasversale, certamente producendo edifici con capacità di gestione autonoma di alcuni dei materiali di rifiuto. Qualche buona pratica è facilmente rintracciabile nel web.

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