Elodia Rossi

VI – Le dimensioni dell’architettura

La LUCE: riferimento percettivo misurabile (il lux per la misura dell’illuminazione di un oggetto, il lumen per la misura di illuminazione complessiva, la candela per la misura dell’intensità luminosa), capace di restituire immagini differenti dell’oggetto architettonico nel corso delle diverse ore, delle differenti stagioni, dei molteplici luoghi. È la Quinta Dimensione.

Finalmente, la luce. La luce è parte attiva dell’architettura perché solo attraverso essa l’oggetto formale può essere visto, capito, fruito. Che senso avrebbe l’architettura senza luce?

La posizione dell’edificio, la sua dimensione e la disposizione delle aperture per l’attrazione della luce solare, l’organizzazione delle fonti luminose artificiali, sono elementi che meritano la più elevata attenzione nella fase progettuale. È innanzitutto da essi che deriva la riuscita di un’opera.

Difatti esiste uno sdoppiamento di questa dimensione. La luce solare e quella artificiale. Ambedue concorrono a definire lo spazio di vita.

È con la luce che l’architetto vero cerca di esprimere sé stesso, di consegnare alla sua opera un valore che va oltre la forma, o meglio che la ingloba nell’articolarsi dei vuoti e dei pieni, in un gioco di intuizioni percettive che, se ben composto, restituisce la più elevata dignità. Come non fare riferimento a un’opera notissima, le cui prerogative s’individuano proprio nei giochi di luce, quale derivazione di uno studio accorto e magistrale? Parlo della Cappella Notre-Dame du Haut a Ronchamp, di Le Corbusier. Forse è l’esempio più idoneo a rappresentare quanto sia importante fare i conti con la luce, fin dai primi passi della composizione architettonica.

Struttura piuttosto compatta, seppur affidata a superfici rientranti e ricurve oltre che inclinate, con elementi architettonici suggestivi anche in copertura, la Cappella Notre-Dame affida le facciate a composizioni articolate di finestrature piccole, superando ogni idea di simmetria. Il brutalismo incalza e le aperture posseggono forme differenti anche tra interno ed esterno, sviluppando le diverse dimensioni nell’attraversamento delle murature. Il compito di orientare l’ingresso della luce solare nelle differenti ore è eseguito con grande maestria e la suggestione che l’edificio offre al suo interno è spettacolare. Il fascino percettivo viene esaltato dall’impiego di colori introdotti talvolta nei vetri attraverso cui transita la luce. Ma non è stato forse proprio Le Corbusier ad affermare che l’architettura è il gioco sapiente, corretto e magnifico dei volumi raggruppati sotto la luce?

Esterno e interno. Bellissima.

La luce, come il suono, è misurabile, l’ho detto (rif. https://www.elodiarossi.it/iv-le-dimensioni-dellarchitettura/). Anch’essa ha la capacità di modificare la percezione di un manufatto architettonico perfino istantaneamente, superando la prerogativa della IV Dimensione, il Tempo.

La luce segue le regole della propagazione, della riflessione, della diffusione, della diffrazione e dell’interferenza, secondo principi dipendenti dalla sua natura di onda elettromagnetica.

Interessante è il tema della luce solare che colpisce gli edifici e viene talvolta percepita come una fonte puntatore (mi concedo questo termine, a mio parere efficace). Ecco un’immagine esterna del Roma Convention Center, ovvero la Nuvola di Fuksas, in una particolare ora del giorno. Era tardo pomeriggio, quando la scattai. Il raggio puntatore (il tema meriterebbe approfondimenti complessi) colpisce la Lama (ossia l’edificio alberghiero, parte integrante del complesso architettonico) e ne offusca quasi il paesaggio circostante.

Ma è solo un esempio. La percezione esterna di un edificio muta considerevolmente nelle differenti ore del giorno, proprio in dipendenza dell’intensità (dovuta a condizioni meteo) e dell’orientamento dei raggi solari.

Insomma, la luce è indiscutibilmente la Quinta Dimensione dell’architettura. E non si pone al quinto posto ma, come le alte, ha un ruolo fondamentale e paritario nella percezione, collettiva e individuale, dello spazio edificato.

Sto scrivendo un libro su questo argomento.

V – LE DIMENSIONI DELL’ARCHITETTURA

V – LE DIMENSIONI DELL’ARCHITETTURA

Il SUONO: riferimento percettivo misurabile (l’hertz –Hz per la misura della frequenza, il decibel per la misura dell’intensità), capace di offrire differenti percezioni dell’oggetto d‘architettura in relazione alla sensorialità del fruitore. È la Sesta dimensione.

Parto col Suono. Parto con la Sesta Dimensione. Com’è mio solito, disubbidisco a me stessa. Inverto i tempi e tratterò della Quinta Dimensione, la Luce, nel prossimo articolo.

Si, parto col suono perché è esso che mi ha offerto il primo spunto di riflessione, quando pesavo e ripensavo (e penso ancora) ai comuni denominatori dell’Architettura. Architettura, ovviamente con la lettera maiuscola, così da distinguerla – come ho sempre detto – dalla consueta e diffusa operazione dell’edificare fine a sé stessa.

Avevo progettato e stavo dirigendo i lavori di riqualificazione di due spazi pubblici, pressoché contigui. È proprio nel corso di questa attività che ho avuto la prima delle intuizioni.

Uno dei due spazi, piuttosto ampio, possiede una complessa struttura pregressa, essendo impostato su un imponente impianto pilastrato. Di difficile approccio, ovviamente, ne derivavano alcune questioni. Tra queste, l’inserimento del verde, convinta che l’eventuale assenza avrebbe ricondotto a un’organizzazione meno efficace, piatta, meno suggestiva. Né avrei potuto ricalcare le scelte pregresse (e da me demolite) che vedevano un’aberrante distribuzione di grosse aiuole all’interno dello spazio, ostacolanti la fruizione e problematiche per la struttura di sostegno (che stava subendo grosse ripercussioni). E così decisi di utilizzare il verde posizionandolo lungo il limite interno della piazza, laddove la struttura è ancorata al grosso muro di sostegno della via limitrofa, oltre che in prossimità del margine inferiore, dove l’impianto pilastrato possiede un’altezza minore (e, di conseguenza, una maggiore resistenza). Il verde, si sa, offre una percezione di vita, interrompe la staticità visiva. Parlerò, presto o tardi, di quest’attività – corredando il tutto con foto del prima e del dopo – nella sezione Percorsi di questo blog.

Nel corso delle lavorazioni, ma ancor prima, durante la progettazione, riflettevo attentamente sul risultato finale. Lo visualizzavo nella mia mente, abituata – ovviamente – a tale esercizio del pensiero. Caspita: pur soddisfacendomi la scelta complessiva (pavimentazioni, organizzazione generale, posizionamento del verde, eccetera), percepivo l’assenza di qualcosa che potesse restituire all’insieme una maggiore suggestività. Pensai a lungo. Nel bel mezzo di una notte insonne, capii che avevo bisogno di acqua. Acqua corrente. Movimento, ecco. Movimento.

Fu così che introdussi un ampio muro d’acqua, posto in corrispondenza di quel margine inferiore di cui ho fatto cenno, avente maggiore stabilità. Di lì il passo fu breve. Edificato, strutturato nei dettagli anche riguardo il funzionamento (non acquistato dal primo rivenditore, ma studiato e realizzato in opera), la piazza restituiva finalmente quello che avevo desiderato. Nel silenzio del centro storico di un paese collinare, ecco che un pomeriggio mi soffermai sul delicato suono che quest’acqua corrente consegnava alla percezione dell’insieme. Fu allora che aprii le porte della mia mente agli inattesi scenari delle Dimensioni dell’Architettura.

Suono: parte integrante dell’Architettura, elemento sostanziale nella sensazione individuale e collettiva di un ambiente edificato o urbanizzato che sia.

Capii perfino perché, per esempio, non avevo mai apprezzato il MAXXI di Roma, opera del ben noto architetto Zaha Hadid. Al di là delle scelte formali – che non sono di mio gusto, pur riconoscendovi una non usuale genialità – non c’è acqua, neppure nell’ampio spazio esterno. Non c’è acqua. E il suono che ne deriva è ampiamente compromesso dal frastuono urbano. Ancor più ne avrebbe avuto bisogno.

Il quadro percettivo si ampliava nella mia mente. Si ampliavano gli orizzonti, le analisi e le restituzioni relative, riflettendo sul valore del suono nell’Architettura, ben oltre il risultato che deriva dal fruscio dolce dell’acqua.

Il suono può divenire rumore e consegnare non piacevolezza, ma fastidio. Tutto sta a come viene impiegato, alle variabili in gioco non sempre positive (come la posizione, per esempio) e alla capacità di mitigarle tramite altro suono, ma anche attraverso la composizione formale laddove si tratta di un edificio.

Il suono è misurabile, l’ho detto (rif. https://www.elodiarossi.it/iv-le-dimensioni-dellarchitettura/). Il suono ha la capacità di modificare la percezione di un manufatto architettonico perfino istantaneamente, superando una delle prerogative della IV Dimensione, il Tempo.

Mi vengono alla mente le parole del grande filosofo Aldo Masullo, di cui ho già accennato. E mi viene in mente l’esempio che egli faceva sulla differente percezione di una stazione ferroviaria tra le ore diurne, in cui irrompe frastuono della folla, e quelle notturne, caratterizzate invece da ampio silenzio. L’assenza di frastuono apre altri orizzonti e sollecita altri sensi.

Il suono possiede una relazione strettissima con l’opera architettonica, incidendo perfino sulle modalità costruttive. Quando si progetta una sala di registrazione musicale, bisogna contenere il suono dello spazio chiuso, assorbendo gli eccessi tramite precise tecniche e tecnologie. È l’insonorizzazione.

Perfino negli spazi aperti, a volte emerge la necessità di contenere il suono per garantire la riduzione della sua propagazione. Basti pensare alle barriere insonorizzanti poste ai margini di grandi arterie, quando queste sono prossime a edifici, soprattutto residenziali.

Il suono segue le regole della propagazione, della riflessione, della rifrazione e della diffrazione, secondo principi strettamente correlati ai decibel con cui viene diffuso. Ma anche in derivazione delle forme architettoniche e dei materiali impiegati.

Il legno ha una capacità di assorbimento del suono decisamente più ampia dell’acciaio. L’acciaio, dal canto suo, possiede una capacità di riflessione del suono ben più alta del legno. Insomma, se si deve progettare una discoteca in ambito urbano, è bene utilizzare materiali che siano riflettenti, combinati a quelli fono assorbenti, evitando l’utilizzo di materiali rifrangenti e disperdenti.

Pensando agli spazi aperti destinati alla collettività, ma anche a quelli privati, è per esempio facile immaginare la differenza percettiva tra le giornate di calma e quelle ventose. Ci si addentra i questo modo, nell’ambito variegato e affascinate dei suoni della Natura. Non sarebbe forse diversa, ditemi, la percezione che oggi – in questo periodo di clausura per via della cosiddetta emergenza sanitaria – si potrebbe avere nel percorrere il tanto famigerato e acusticamente inquinato grande raccordo anulare? Si avrebbe di certo il modo e la voglia di osservare i grandi spazi che esso attraversa: dalla verdeggiante campagna romana, alla suggestione della sterminata apertura dell’urbanizzazione capitolina. E tutto questo, senza l’assordante rumore (suono) del traffico che distoglie e confonde.

Immaginiamo il suono dell’eco che riverbera all’interno degli edifici, sempre, ma non sempre in maniera percepibile per l’orecchio umano. E ciò avviene anche per gli spazi aperti. Dal punto di vista fisico, ma anche acustico, l’eco deriva dalla riflessione del suono (più esattamente, delle onde sonore, con richiamo agli hertz della frequenza) nell’incontrare un ostacolo (elemento riflettente), nel corso della sua propagazione. Il ritorno delle onde sonore viene percepito con un ritardo più o meno lungo (tuttavia mai inferiore a 1/10 di secondo) rispetto al suono diretto. Qui è ritrovabile una stretta relazione tra Suono (Sesta Dimensione) e Tempo (Quarta Dimensione) e spazio (edificio o luogo aperto che sia). La propagazione del suono produce, tra gli altri e come accennato, il fenomeno della riflessione. È l’elemento riflettente, l’ostacolo, che determina il tempo di ritorno del suono propagato o di parte di esso: ossia, dipende dalla capacità di assorbimento dell’ostacolo.

Interessante è il tema dell’ascolto del suono, della capacità umana di elaborarlo più o meno istantaneamente: questo è il punto su cui s’incentra il tema proprio della percezione dell’Architettura. D’altro canto, tale percezione avviene impiegando, separatamente o meno, quattro dei cinque sensi: la vista, il tatto, l’udito e l’odorato. Ovviamente, non il gusto fin quando non mangeremo mattoni. Tralasciando gli altri, è evidente che il suono richiama innanzi tutto l’udito. Sovrastante esso, ma anche gli altri tre sensi, vi è la capacità individuale di elaborazione. Tema lungo, interessante, affascinate. Ne parlerò. Per adesso, mi fermo qui.

IV – LE DIMENSIONI DELL’ARCHITETTURA

Sono in ritardo, forse. Oppure no, viste l’ampiezza e la delicatezza della riflessione su cui è imperniata questa serie di articoli. Certo, ne è passato del tempo dal giugno 2017, data dell’articolo III – Le Dimensioni Dell’Architettura. Sarei soddisfatta se il collega Salvo Cimino, che mi ha accompagnata sinora (nei precedenti tre articoli della serie), mi comunicasse il suo giudizio su quanto sto per dire.

la potenza della luce

L’ambito è quello della ricerca della N Dimensione dell’architettura.

Ecco. Già su questo punto crederei di aver sbagliato. Mi riferisco a quando, con una convinzione un tantino superba partita più da me che da Salvo, affermavo che la N Dimensione … non sarà superabile perché includerà l’insieme delle componenti che entrano in gioco nello spazio costruito e di vita. Credo che non sia così.

Ho riflettuto a lungo, molto a lungo, ma è servito.

Ho preso appunti, moltissimi.

E sono convinta di aver trovato quello che cercavo, tuttavia in valore raddoppiato. Difatti credo di aver individuato altre due componenti dell’architettura che possono, anzi devono, considerarsi Dimensioni essenziali della Regina delle arti. Se non mi sto sbagliando, la N Dimensione, che avrebbe dovuto coincidere con la Quinta, è già superata.

In questo periodo di astensione dalla pubblica riflessione, ho percorso spazi architettonici (ovviamente mi riferisco a oggetti di architettura e non a banalizzazioni e mortificazioni di cui è colmo il mondo) aperti e chiusi, con l’attenzione dell’esploratore. Ho esaminato, ragionato, valutato: dalla linearità alla bidimensionalità, alla tridimensionalità, contando i passi, gl’istanti, per poi ripercorrere e ripensare più volte, più volte e ancora di più, facendo della Dimensione Tempo – l’oramai consacrata Quarta Dimensione – lo stimolo alla mia ricerca.

Adesso vorrei mettere in ordine, sinteticamente, i principi individuati nei precedenti tre articoli di questa serie e da me tenuti in considerazione nel corso della mia lunga riflessione.

Principio 1. Le Quattro note dimensioni dell’Architettura: la lineare, la bidimensionale, la tridimensionale, il tempo (che oltrepassa i canoni della realtà e richiama, a pieno titolo, la memoria) non restituiscono la compiutezza di un’opera. – Rif. https://www.elodiarossi.it/i-le-dimensioni-dellarchitettura/

Principio 2. L’intuizione di Bruno Zevi secondo cui le quattro dimensioni non sono sufficienti a contenere lo spazio internodell’architettura, quello spazio che non può essere rappresentato compiutamente in nessuna forma, che non può essere appreso e vissuto se non per esperienza diretta. Rif. Rif. https://www.elodiarossi.it/ii-le-dimensioni-dellarchitettura/

Principio 3. L’oggetto architettonico è fatto per essere vissuto e, passando dall’esterno all’interno, i riferimenti percettivi si moltiplicano, cambiano, avvolgono, inglobano l’essere e restituiscono sensazioni proporzionali alla capacità sensoriale individuale. Rif. https://www.elodiarossi.it/ii-le-dimensioni-dellarchitettura/

Principio 4. Il dinamismo potrebbe essere un importante punto di partenza per la ricerca: spazio/tempo/velocità, accelerazione/gravitazione, mutazione/memoria. La nuova Dimensione deve fare i conti con l’insieme dei fattori fisici che possono determinare variazioni percettive all’oggetto di architettura. Rif. https://www.elodiarossi.it/iii-le-dimensioni-dellarchitettura/

Principio 5. La nuova Dimensione (potrei ora dire, le nuove Dimensioni) dell’architettura non può essere astratta. Deve potersi misurare, deve avere riferimenti concreti, come si conviene a una scienza che – sebbene esploda soltanto nei casi in cui la forma artistica si traduce in innovazione e singolarità – fonda le sue basi sulla metrica, sulla manipolazione spaziale, sull’articolazione volumetrica. L’approccio è nella scienza fisica. Rif. https://www.elodiarossi.it/iii-le-dimensioni-dellarchitettura/

Durante questa esplorazione, che più volte andava richiamando la mia memoria verso le percezioni avute nei riguardi di edifici e spazi conosciuti, già percorsi, mi sono imbattuta in uno spazio nuovo, trasformato – meglio, in trasformazione – da me stessa.

È qui – e ne parlerò attentamente in un futuro articolo – che ho avuto la prima delle intuizioni. È qui che ho capito quale potesse essere una nuova Dimensione, la Quinta. Da questa – come per deduzione – è derivata l’altra, la Sesta.

Non me ne capacitavo. Perché non pensarci prima? Eppure si tratta di elementi, rispondenti a tutti i principi prima elencati (individuati nel percorso di analisi descritto nei precedenti tre articoli), con cui gli architetti si confrontano ogni volta che affrontano un progetto e ogni volta che osservano e penetrano un’opera realizzata.

La LUCE: riferimento percettivo misurabile (il lux per la misura dell’illuminazione di un oggetto, il lumen per la misura di illuminazione, la candela per la misura dell’intensità luminosa), capace di restituire immagini differenti dell’oggetto architettonico nel corso delle diverse ore, delle differenti stagioni, dei molteplici luoghi. È la Quinta dimensione.

Il SUONO: riferimento percettivo misurabile (l’hertz –Hz per la misura della frequenza, il decibel per la misura dell’intensità), capace di offrire differenti percezioni dell’oggetto d‘architettura in relazione alla sensorialità del fruitore. È la Sesta dimensione.

Mi fermo qui. Il prossimo articolo sarà dedicato alla Quinta Dimensione: la LUCE. Il successivo, alla Sesta: Il SUONO.

A seguire spiegherò, in un diverso articolo, come sono giunta a queste determinazioni.

III – LE DIMENSIONI DELL’ARCHITETTURA

Non è facile, né immediato, esporre disquisizioni sulla N Dimensione dell’Architettura. Ragione che ci porta a lunghe pause, nel tentativo di raccogliere le singole riflessioni (ricordiamo che siamo in due a ragionare e scrivere su questo argomento: Salvo Cimino ed Elodia Rossi), discuterle e, solo dopo, proporle alla lettura.

Sappiamo che da lungo tempo maestri e studiosi si sono trovati dinanzi alla constatazione secondo cui le già note Quattro Dimensioni non sono sufficienti a soddisfare l’approccio percettivo di un’arte (l’architettura, appunto) che possiede troppe variabili e molteplici sfacciature.  Umilmente e prudentemente, cerchiamo di offrire il nostro contributo.

Nel precedente articolo (N.1 – Le dimensioni dell’Architettura) abbiamo posto una condizione: la N Dimensione dell’architettura, a differenza di altre discipline e correnti di pensiero, non può essere astratta. Deve potersi misurare, deve avere riferimenti concreti, come si conviene a una scienza che – sebbene esploda soltanto nei casi in cui la forma artistica si traduce in innovazione e singolarità – fonda le sue basi sulla metrica, sulla manipolazione spaziale, sull’articolazione volumetrica. L’approccio è nella scienza fisica.

Forse è il caso di sancire un concetto: quando si parla di architettura (e quindi, del cercare la N Dimensione) non ci si riferisce all’edilizia generalizzata. L’architettura è arte e le riflessioni in corso riguardano esclusivamente essa. A titolo esemplificativo basti pensare che è consuetudine incorrere in chi trova godimento nell’abitare un edificio brutto; altrettanto vero è che differenti individui, più consapevoli nei confronti dell’arte, non percepiscono il medesimo stato di benessere. Una delle prerogative dell’architettura è, dunque, trasmettere emozione positiva al fruitore. Ciò accade per gli storici edifici eterni, ciò accade per le opere indiscusse e indiscutibili di alcuni maestri contemporanei.

Questa considerazione, noi crediamo, aiuta anche nella ricerca di quella Dimensione tanto attesa e ancora, al di là del sentore di alcuni studiosi, non consacrata.

Forse, proprio per evitare distorsioni di pensiero, è necessario riflettere su base concreta, ossia attraverso riferimenti reali, fruibili, percorribili. Ricordiamo che, già in precedenza, abbiamo attestato (anche motivato) che la N Dimensione è strettamente connessa alla fruizione (esclusività dell’arte architettonica) e alla percezione.

Ed è vero che la percezione è generalmente individuale, dipendendo dal bagaglio di conoscenza e dalla singolarità di ognuno. Ma è altrettanto vero che deve esistere un filo conduttore comune, una base di partenza che accomuna la specie umana quand’ella è scevra dei tanti impulsi negativi derivati dalla quotidianità. Bisogna dunque andare all’origine, ricercare quegli elementi percettivi che sono patrimonio fisiologico dell’individuo. Per quanto complesso sia, una metodologia efficace potrebbe individuarsi proprio nel confrontare le sensazioni percettive di differenti individui nel fruire l’oggetto di architettura. La conferma viene dalla constatazione secondo cui, penetrando un’opera architettonica vera, è pressoché impossibile trovare soggetti che la percepiscano estranea. Ritornano i temi del dinamismo e dell’appartenenza.

Pensiamo a due opere magistrali, non di tipo residenziale ma collettivo, frutto di diverse epoche: il passato e la contemporaneità.

Uno di noi (Salvo Cimino) propone la Cappella Palatina di Palermo, straordinario esempio d’arte sacra del XII Secolo, capolavoro colmo di simbolismi.

L’altra (Elodia Rossi) propone il nuovo Centro Congressi (opera di Fuksas) a Roma, recentissima espressione architettonica innovativa.

Ognuno di noi è pronto a sperimentare le emozioni di visitatori, anche intervistandoli, per trarne elementi condivisibili e utili alla ricerca. Siamo convinti che, nonostante le differenze epocali, i risultati in termini di suggestione percettiva siano gli stessi.

Un esercizio necessario, evidentemente non risolutivo, ma che potrà restituire approfondimenti rispetto a quanto da noi affermato fin dal primo articolo: L’oggetto architettonico è fatto per essere vissuto e, passando dall’esterno all’interno, i riferimenti percettivi si moltiplicano, …inglobano l’essere … La memoria possiede sì un ruolo decisivo, ma tanto più efficace quanto più esercitata alla contrazione dei ricordi in un susseguirsi di istanti. È velocità percettiva all’interno dello spazio architettonico, in gioco tra vuoti e pieni, perfino istantaneamente modificata dalla presenza umana.

È qui che va ricercata la N Dimensione, quella dimensione percettiva che moltiplica n volte la tridimensionalità e richiama non solo il tempo (superando la Quarta Dimensione), ma anche spazio e velocità. Vedremo.

Una curiosità: l’Università di Southampton, in Inghilterra, ha realizzato una memoria digitale di grande portata. È stata chiamata 5D. Interessante osservare che la memoria sia stata posta in relazione con la Quinta Dimensione. La velocità di trasformazione con cui viaggia la tecnologia lascia supporre che, più avanti, potrà esserci la memoria di una macchina 6D, poi ancora 7D e via dicendo.

Valga dunque una precisazione: noi non parliamo di Quinta Dimensione in architettura. Noi sosteniamo un percorso conoscitivo verso la N Dimensione, nella consapevolezza che essa non potrà più essere superata. Tuttavia uno stimolo interessante deve ricercarsi nell’approccio conoscitivo: per la macchina si traduce in algoritmi, dunque su base matematica, derivazione indiscutibile di elementi misurabili.

II – LE DIMENSIONI DELL’ARCHITETTURA

La comune riflessione sui temi delle Dimensioni dell’Architettura è in evoluzione. L’architetto Salvo Cimino e io, tramite articoli in sequenza, vogliamo raccontarne i risultati.

 

Siamo alla ricerca, come annunciato nel precedente articolo, della N Dimensione dell’architettura. Meta ambita, non di facile conseguimento, tuttavia decisamente stimolante.

Per un certo verso siamo partiti dall’intuizione di Zevi, secondo cui le quattro dimensioni non sono sufficienti a contenere lo spazio interno. Per altri versi, la nostra stessa percezione di una mancanza nel poter comprendere esaustivamente l’architettura ci sta portando lontano, verso quel mondo tanto fisico quanto sensoriale che deve dare una risposta lucida e mirata alla più profonda interpretazione dello spazio architettonico.

Quasi istintivamente, nel precedente articolo (I – Le Dimensioni dell’Architettura) abbiamo pensato alla N Dimensione come al risultato della capacità percettiva che moltiplica n volte la tridimensionalità e richiama tempo, spazio e velocità. E abbiamo messo in gioco la capacità sensoriale individuale, perché da essa dipende la sintesi dell’azione di lettura interpretativa dell’architettura. D’altro canto la capacità sensoriale individuale (connessa anche alla memoria) entra pienamente in gioco già dalla Quarta Dimensione.

Qual è dunque il vero elemento che supera le Dimensioni ormai note e introduce in un nuovo Universo percettivo? A nostro parere bisogna pensare analiticamente al concetto di velocità e, con esso, a quelli di accelerazione (la spinta in avanti) e di gravitazione (la spinta di arresto). Complessivamente, per racchiudere le varie componenti in un insieme, bisognerebbe riferirsi al dinamismo. Parrebbe quindi che la N Dimensione debba fare i conti con l’insieme dei fattori fisici che possono determinare variazioni percettive all’oggetto di architettura.

È evidente che la percezione deriva dalla capacità individuale di conservare informazioni, ossia dalla memoria (sia a lungo termine, comprensiva del background cognitivo, che a breve termine). Non bisognerebbe stupirsi, quindi, se la N Dimensione producesse risultati interpretativi differenti. Ma non è forse così anche per la Quarta e, addirittura, per le prime tre?

È interessante fare riferimento anche alla memoria dell’oggetto architettonico: una memoria oggettiva che racchiude la storia originaria del manufatto, la sua evoluzione (trasformazione naturale), la sua eventuale trasformazione indotta. Ritorna in campo il fattore tempo. Ma c’è un dinamismo maggiore in tutto questo. E perfino una componente relazionale tra memoria dell’oggetto e memoria del soggetto (colui che lo fruisce).

Ci pare necessario precisare che la nostra ricerca riguarda l’architettura e solo essa. Alcune altre discipline o correnti di pensiero hanno cercato di individuare dimensioni superiori alla Quarta (l’esoterismo è arrivato alla Settima). Tuttavia il terreno di analisi è differente e differente ne è l’obiettivo. Qui non si tratta di una dimensione astratta, al di là delle individuali capacità percettive, ma di una dimensione concreta, all’interno della quale incontestabili componenti fisiche giocano il ruolo dominante. E difatti continueremo la nostra comune ricerca analizzando ognuna di esse, sia singolarmente che complessivamente. Sarà materia dei prossimi articoli.

Ci viene in mente che l’architettura, benché inconsapevolmente, si sta muovendo verso la ricerca della N Dimensione, quella che non sarà superabile perché includerà l’insieme delle componenti che entrano in gioco nello spazio costruito e di vita. Per esempio, il tanto discusso decostruttivismo non è forse il segno concreto della volontà di introdurre il tema del dinamismo nelle forme architettoniche? Linee oblique, linee alterate, volumi razionalmente scomposti per accelerare lo sguardo e produrre movimento.

Siamo dunque convinti che il punto di forza, il contenitore privilegiato dei fattori fisici da esaminare, sia il dinamismo. Su questo, noi crediamo, deve fondarsi la Nuova (o N) Dimensione dell’architettura. Su questo indagheremo fino a essere soddisfatti.

Bisogna riconoscere il grande contributo che ci viene dal Futurismo, dall’intelligenza con cui questa corrente di pensiero ha rivoluzionato il saper vedere e introdotto il movimento (addirittura, l’accelerazione) in arte. Ne parleremo. E bisogna riconoscere il contributo, indiscutibile e lucido, che giunge dal Razionalismo. Questa volta un merito tutto italiano.

I – LE DIMENSIONI DELL’ARCHITETTURA

Questo articolo è il risultato di una collaborazione tra l’architetto Salvo Cimino e me. Ringrazio molto il collega, a cui devo finanche l’idea su cui abbiamo lavorato, per aver mosso verso quel dibattito professionale da me tanto auspicato.

 

Arte e Percezione Visiva, direbbe Rudolf Arnheim. Saper vedere l’Architettura, direbbe Bruno Zevi.

Vorremmo provare ad andare oltre le straordinarie intuizioni che Arnheim e Zevi hanno avuto, ognuno con proprie prerogative, nel ragionare sulle dimensioni spaziali di alcune arti visive e di quelle plastiche. Vorremmo tentare una ricerca oltre la prospettiva, verso una nuova dimensione.

D’altro canto, i relazionati temi della percezione e delle dimensioni fisico/percettive sono talmente interessanti e straordinariamente complessi da aver sempre richiamato le interpretazioni di matematici, letterati, filosofi, paesaggisti, psicologi, artisti. Gli architetti, consapevolmente o meno, devono affrontarli ogni giorno.

La Prima Dimensione, quella lineare o puntuale, non appartiene all’arte in genere (a meno di alcune esternazioni recenti – un esempio in campo pittorico, con una dose di flessibilità, potrebbe essere dato dagli squarci di Fontana), mentre e per certi versi appartiene alla restituzione architettonica. Una semplice linea potrebbe significare molte cose.

La Seconda Dimensione appartiene alle arti pittoriche e decorative su base piana, ma anche alla restituzione architettonica, ossia al disegno tecnico. In ambedue i casi, benché l’immagine risulti bidimensionale, l’immaginario porta oltre, verso altre dimensioni.

La Terza Dimensione – lunghezza, larghezza e profondità – inizia a richiamare il concetto di punto di vista. La tridimensionalità appartiene all’arte scultorea, a quelle pittorica e fotografica solo se ci si riferisce alla percezione della rappresentazione (la quale resta bidimensionale) e, ovviamente, all’architettura. Un disegno assonometrico è una restituzione tridimensionale. Un edificio è un oggetto tridimensionale.

La Quarta Dimensione oltrepassa i canoni della realtà e richiama, a pieno titolo, la memoria. Superare lunghezza, larghezza e profondità, implica l’introduzione di una nuova coordinata. In geometria, tale coordinata è necessaria a individuare la posizione dei diversi punti di riferimento (la restituzione prospettica supera la tridimensionalità). Nell’arte in genere, come in filosofia, questa nuova coordinata è il tempo. I punti di vista si moltiplicano, vengono percepiti in momenti differenti e la memoria deve garantire il collegamento tra essi. La pittura e le arti grafiche si sono difese con il cubismo, unico appiglio alla simultanea restituzione di differenti punti di vista su un piano. L’architettura non ha avuto bisogno di mutare. Se ci si sposta intorno a un oggetto di architettura (ma anche di scultura), la percezione d’insieme, diluita in un tempo più o meno lungo, è affidata alla memoria.

E fin qui ci siamo, al di là delle articolazioni e degli approfondimenti che ogni ricercatore o pensatore ha voluto affrontare. Adesso proviamo a ragionare, stimolati dall’intuizione di Zevi, secondo cui le quattro dimensioni non sono sufficienti a contenere lo spazio interno (dell’architettura), quello spazio che non può essere rappresentato compiutamente in nessuna forma, che non può essere appreso e vissuto se non per esperienza diretta. Ma è pur vero – ci si conceda – che l’introduzione del tempo e della memoria, dunque della capacità sensoriale, già produce risultati percettivi individuali. Allora, perché non pensare a una nuova dimensione?

La N Dimensione – quella dimensione percettiva che moltiplica n volte la tridimensionalità e richiama non solo il tempo (superando la Quarta Dimensione), ma anche spazio e velocità – è solo dell’architettura. Capiamo: l’architettura è l’arte che si penetra, si percorre, si fruisce. L’oggetto architettonico è fatto per essere vissuto e, passando dall’esterno all’interno, i riferimenti percettivi si moltiplicano, cambiano, avvolgono, inglobano l’essere e restituiscono sensazioni proporzionali alla capacità sensoriale individuale. La memoria possiede sì un ruolo decisivo, ma tanto più efficace quanto più esercitata alla contrazione dei ricordi in un susseguirsi di istanti. È velocità percettiva all’interno dello spazio architettonico, in gioco tra vuoti e pieni, perfino istantaneamente modificata dalla presenza umana.

Vengono in aiuto le teorie di Aldo Masullo, grande filosofo contemporaneo, sui temi di spazio, tempo e velocità all’interno di edifici con differenti destinazioni. Il frenetico andirivieni di una stazione ferroviaria non è uguale al silente movimento di una sala di lettura. Il dinamismo altera (o modifica) la percezione spaziale e, per esempio, ci appare differente una stazione nelle ore di punta rispetto a quelle notturne.

Regina Architettura, governi ogni ambito della percezione ed eserciti la mente. Sei insuperabile.

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